Tito ORLANDI SULLA CODIFICA DELLE FONTI ARCHEOLOGICHE 1. La prospettiva informatico-metodologica Il valore di questo contributo e delle osservazioni che ver- ranno esposte è fortemente legato al riconoscimento di una disciplina che si occupi non delle singole concrete appli- cazioni dell'informatica nei differenti settori degli studi umanistici, ma dei problemi che tali applicazioni hanno in comune. In altri termini, si accetta la possibilità che di tali problemi si occupi non uno specialista di informatica, e nemmeno uno specialista di un singolo settore umanistico con competenze informatiche, ma uno studioso di estrazione umanistica che prenda in considerazione quanto vi è di co- mune fra le metodologie dei singoli settori, dal punto di vista delle applicazioni dell'informatica. Questo può lasciare inizialmente perplessi, perché posizioni di questo tipo nascondono spesso vaghe e poco utili general- izzazioni. Ritengo tuttavia che vi sia più di un motivo per accettare l'ipotesi proposta. La breve storia dell'infor- matica umanistica è costruita in larga parte di scambi e rapporti fra studiosi e tecnici di specializzazioni anche molto lontane, che devono capire i reciproci fondamenti. Un filologo non sarà più lontano dall'archeologia di un matem- atico o di uno statistico o di un ingegnere elettronico; e, se ha riflettuto sulle caratteristiche generali dell'infor- matica, può avere qualche buona idea anche su discipline di non diretta competenza. Ad ogni modo il mio inserimento nel dibattito di questo con- vegno può essere pienamente giustificato soltanto se si ac- cetta che le applicazioni umanistiche dell'informatica finiscano per determinare una sfera di interessi comuni, che produce una comune metodologia; e dunque che la metodologia dell'informatica umanistica si intrecci con le metodologie specifiche delle singole discipline. A sua volta questo pre- suppone che si accetti che l'informatica non sia semplice- mente un insieme di tecnologie, ma una serie di metodologie, e dunque una disciplina con un proprio fondamento teorico, che deve in qualche modo interagire con quello proprio delle singole discipline umanistiche. Cercherò di darne un esempio, prendendo in considerazione i problemi della codifica della documentazione archeologica, non senza aver aggiunto che molto di quanto dirò dovrebbe valere, con i dovuti aggiustamenti, anche per altre disci- pline. E' necessario tuttavia impostare il ragionamento partendo dai fondamenti dell'archeologia, per vedere in quali settori e in quale modo le metodologie informatiche possano efficacemente integrarsi in tale disciplina. Fortu- Archeologia e calcolatori 1 natamente, pubblicazioni recenti (unite alla personale fre- quentazione con colleghi archeologi) hanno reso possibile questa operazione. Mi riferisco soprattutto al volume stori- co-metodologico di Bruce G. Trigger, a quello metodologico fondamentale di Jean-Claude Gardin, a quello specifico di F. Djindjian; e naturalmente alle prime annate di Archeologia e Calcolatori, che sono ricche di contributi metodologici. (Nota 1) Se si considera il lavoro dell'archeologo dal punto di vista dell'informatica, non mutano ovviamente i fondamenti della disciplina, ma muta la prospettiva. Ora, secondo questa prospettiva, si può sintetizzare il lavoro dell'archeologo come classificazione, valutazione e spiegazione dei documen- ti che egli seleziona in quanto utili ai fini della propria ricerca. Detto in termini più informatici, l'archeologia sottopone a procedimenti analitici e sintetici i dati desun- ti dall'informazione di carattere appunto "archeologico", cioè quella che proviene da artefatti e non da manoscritti. (Nota 2) 2. La codifica in archeologia L'attenzione degli studiosi interessati alla metodologia si concentra soprattutto sul trattamento dei dati, e sulla con- seguente formalizzazione del ragionamento archeologico. Meno sul passaggio iniziale di definizione e descrizione, o rapp- resentazione, dei dati, cioè quello che intendiamo appunto per codifica, e che viene in certo modo ritenuto ovvio, e quasi banale. Si nota p.es. che nella storia dell'archeolo- gia lo spazio dato al metodo di descrizione degli oggetti è quasi nullo rispetto a quello dato ai vari metodi di inter- pretazione. (Nota 3) Fra coloro che dedicano attenzione al problema della codifi- ca sono Gardin e Djindjian. Il primo (che fa della rappre- sentazione, o "compilation", a uno dei due momenti essen- ziali dell'attività archeologica) sottolinea come non sia sufficiente una riproduzione che diremmo di tipo analogico, ma sia necessaria per la scienza una rappresentazione sim- bolica mediante un linguaggio. Egli discute a lungo quale tipo di linguaggio debba essere utilizzato a questo scopo. (Nota 4) Djindjian ritiene riduttivo questo punto di vista, valido cioè soprattutto nella prospettiva della realizzazione di banche dati, e propone invece come codifica la scelta di quelle caratteristiche che consentano un determinato tipo di analisi: preferibilmente quantitativa, ma eventualmente an- che morfologica, seriale, etc. (Nota 5) Da parte nostra, pensiamo che una riflessione sulla codifica vada fatta partendo da presupposti più generali, non solo di ambito archeologico, ma genericamente informatico. Archeologia e calcolatori 2 Diremo intanto che per l'informatica intesa come tecnologia, (Nota 6) (che pure è fondamentale, perché i procedimenti in- formatici sono oggi presi in considerazioni in quanto con- sentono l'uso dei computer per aiutare lo studioso in alcuni importanti momenti della sua ricerca) la codifica è un mo- mento necessario per poter "scrivere" i dati su supporto magnetico, e quindi gestirli per mezzo dei computer. Il com- puter diventerà il principale veicolo di diffusione scien- tifica, e il principale ausilio nel lavoro quotidiano dello studioso. Dunque non se ne può prescindere. In questo senso la codifica consiste semplicemente nella possibilità di trasferire all'interno di una memoria magnet- ica i dati da sottoporre agli appositi programmi di un com- puter, così come sono già preparati sulla carta. Questo passaggio (che propriamente noi chiameremmo di "transcodifi- ca", cioè di puro passaggio da un codice all'altro) si ri- solve semplicemente nell'uso corretto della tastiera, che oggi è lo strumento naturale per l'input dei dati. Anche questo semplice passaggio non è esente da problemi, perché vi sono molti tipi di tastiera, che offrono molti tipi di corrispondenza fra i simboli riportati sui tasti e le sequenze magnetiche (o sequenze di bit) prodotte nella memoria del computer. Ma non è di questi problemi che inten- diamo trattare in questa sede. Prima ancora esiste un problema teorico della codifica, che è sempre stato conosciuto, ma di solito è stato trascurato perché risolto alla buona, in quanto precentemente il mes- saggio archeologico era rivolto sempre a intelligenze umane, che compivano implicitamente grossi passaggi di interpre- tazione. Con il supporto cartaceo questo era consentito, perché i dati su carta possono essere letti solo da intelli- genze umane, che compiono su di essi una serie di elabo- razioni ovvie, e inconsce, prima di entrare nel merito sci- entifico. I dati su supporto magnetico vengono invece anal- izzati da un computer, che non andrà mai oltre ciò che è perfettamente esplicito nei dati stessi. Si può dire che, come si può benissimo usare una lingua sen- za esplicitarne le regole grammaticali, ma se si vuole sta- bilire la correttezza di un testo che si pretende espresso in quella lingua, bisognerà chiarirne la struttura; così si può usare efficacemente della codifica, senza teorizzarla, solo finché non sorga la necessità di discutere se un certo lavoro di codifica sia stato fatto correttamente o no. 3. Definizione della codifica Definiremo dunque in senso tecnico la codifica come il pro- cedimento per mezzo del quale i dati che compongono una in- formazione vengono espressi mediante un codice (possiamo an- che chiamarlo alfabeto) in modo da poter costituire un mes- saggio, cioè da poter essere trasmessi fra soggetti, che non sono necessariamente persone umane. (Nota 7) Archeologia e calcolatori 3 Si comprende subito che, definita in questo modo così gen- erale, la codifica da un lato presuppone un accordo almeno di massima su concetti niente affatto semplici o banali: in- formazione, messaggio, codice, trasmissione, etc.; dall'al- tro una serie di operazioni all'apparenza intuitive, ma in realtà assai problematiche: scelta del codice, verifica del- la sua correttezza, dichiarazione della correlazione fra codice e dati; effettuazione operativa della codifica, etc. Per quanto riguarda il primo punto, una riflessione sui con- cetti che entrano in gioco in una teoria della codifica ci porta direttamente al settore studiato dalla semiotica, dis- ciplina se si vuole controversa per aver in qualche caso da- to luogo a tediose e apparentemente inconcludenti elu- cubrazioni, ma i cui problemi non si possono trascurare, so- prattutto nell'ambito di una attività il cui compito è quel- lo di trattare informazione. Ad ogni modo, non possiamo farne qui più di un accenno. (Nota 8) Il secondo punto, quello operativo, riguarda invece da vici- no il nostro tema, e su questo intendiamo proporre una serie di considerazioni. Una prima, di carattere preliminare, è che in questo modo il procedimento della codifica non riguarda solo un trasferimento di segni, cioè l'utiliz- zazione di un codice al posto di un altro (su ciò cf. sotto: vari tipi di operazioni di codifica...), ma anche la valu- tazione dei dati che si intendono codificare. Infatti, per verificare la validità e la congruità di una codifica, oc- correrà avere un'idea ben precisa non solo del codice, ma anche dei dati; e occorrerà che questi dati siano analizz- abili come unità ben specificate. 4. Dal continuo al discreto La codifica presuppone l'individuazione consapevole e medi- tata di elementi discreti in un universo continuo, quale si può definire l'oggetto di uno studio. Questo modo di es- primersi è tipicamente informatico (dell'informatica teori- ca), ma il procedimento è ben presente nelle riflessioni storiche e metodologiche sull'archeologia, anche se i diver- si autori lo definiscono in modo più convenzionale. Così lo storico dell'archeologia (Nota 9) nota come l'evoluzione scientifica dell'archeologia (culture-historical approach, opposto all'antiquaria e all'evoluzionismo) porta come con- seguenza anche una maggiore attenzione alla definizione degli ambienti da cui provengono i reperti, e alla consider- azione di tutti i reperti, non soltanto di alcuni. A sua volta, Albert Spaulding nota che il concetto di manu- fatto "fornisce la classe di entità con cui si confronta l'archeologia, gli oggetti o i resti di oggetti che mostrano gli attributi di una attività socialmente orientata. (...) La possibilità di riconoscere i manufatti implica la capac- ità di riconoscere quegli attributi dei manufatti che rapp- resentano una modificazione umana coerente, cosicché noi Archeologia e calcolatori 4 siamo condotti ad una categoria fondamentale, l'insieme degli attributi culturalmente significativi, riuniti insieme dal loro esistere in un singolo oggetto". (Nota 10) Il teorico Djindjian si sofferma a più riprese sul carattere anche di scelta che deve avere l'operazione di codifica, e in particolare nota che "E' indispensabile sottolineare che le descrizioni libere di un reperto rendono inefficace ogni tentativo di costruzione tipologica. La ricerca di una ipotetica esaustività della descrizione, ottenuta moltipli- cando le variabili descrittive, è un'illusione pericolosa che occorre denunciare energicamente. Ne risulta general- mente una classificazione in cui l'aggiunta o la soppres- sione di una variabile può modificare le classi, impedendo ogni validità del risultato e ogni interpretazione delle classi." (Nota 11) Questo vale però per il rapporto immediato fra la codifica e la sua utilizzazione, non per il problema in sé della cor- rettezza della codifica. Da parte sua Gardin afferma: "Ciò che distingue una 'compi- lation' scientifica dalla prosa di un collezionista è che essa fa uso di un linguaggio rappresentativo che si suppone superiore, sia teorieticamente per l'accumulazione della conoscenza scientifica, sia praticamente, per la gestione dell'informazione. (...) Una pura collezione di oggetti o riproduzioni (foto, disegni, etc.) non costituisce una 'com- pilation' scientifica". (Nota 12) 5. La perdita d'informazione Non c'è dubbio, ad ogni modo, che nel passaggio dal continuo della realtà al discreto della codifica, intendendo per tale la prima presa di contatto dello studioso con la realtà che diventa oggetto del suo studio, si verifica necessariamente una perdita di informazione nei riguardi del messaggio orig- inale. Questa perdita di informazione dovrà da un lato es- sere contenuta nel minimo indispensabile; ma dall'altro es- sere attuata tenendo conto dei fini per cui si agisce. C'è innanzi tutto un fine immediato, cioè un'analisi o una serie di analisi che si sono giè progettate nel momento in cui si codifica il materiale studiato. (Nota 13) C'è d'altra parte la necessità che sia possibile sfruttare il materiale codificato per altre analisi da parte anche di altri stu- diosi. Per questo mi sembra che sia più corretto, in termini di generale metodo informatico, tendere fin dall'inizio ad una completezza intrinseca della codifica, considerando gli oggetti per se stessi, e non solo nel contesto di una speci- fica ricerca; nemmeno della differenza, che pure sembra così originaria, fra gli aspetti da codificare in vista dell'in- serzione in una banca dati, e quelli in vista di un'analisi quantitativa. Archeologia e calcolatori 5 6. Vari tipi di codifica Normalmente si considera banale la codifica, perché si pensa ad una operazione puramente macchinistica, cioè che presup- pone già un'informazione codificata (generalmente in lin- guaggio naturale, talora in linguaggio tecnico formalizza- to), e che quindi consista semplicemente nella trasposizione in un codice memorizzabile. In un primo tempo per codifica si intendeva addirittura un procedimento di semplificazione del documento, in modo da estrarne solo alcuni elementi fon- damentali, che potessero essere memorizzati sfruttando il minimo spazio di supporto magnetico possibile. Questa vi- sione è stata superata da tempo a causa del progresso negli apparati di memorizzazione. (Nota 14) Ma ancora usuale è purtroppo il punto di vista di chi con- sidera la codifica come il puro passaggio da una situazione descrittiva adatta al veicolo cartaceo (in sostanza il lin- guaggio naturale) al suo corrispondente in codice binario, adatto al supporto magnetico. Si dimentica che in tal caso i procedimenti automatici riguarderanno non il materiale docu- mentario in sè, ma la sua descrizione; e non si sottoporrà tale descrizione alla necessaria critica analitica, che con- senta di evitare errori e confusioni nella valutazione fi- nale dei risultati del procedimento automatico. Scrive a questo proposito José E. Igartua: "A questo livello la codifica significa definire il significato delle parole e numeri che si inseriscono nel computer, in modo che la ma- nipolazione dei simboli operata dalla macchina corrisponda ad una manipolazione dell'informazione che sia utile allo storico. Incoerenze e ambiguità che rimangano dopo che i dati sono stati resi "machine-readable" inficierà l'analisi successiva e sarà difficile da rimediare". (Nota 15) Inoltre non si tiene conto del fatto che non c'è un rapporto di necessità e dipendenza fra quello che possiamo memoriz- zare su supporto magnetico, per poi sottoporre a procedimen- to automatico, e quello che è rappresentato sulla tastiera per mezzo della quale vengono compiute le operazioni di in- put (lettere, numeri, parentesi, etc.). Il valore at- tribuito alle sequenze di bit che vengono memorizzate può anche non coincidere con quello previsto dalle convenzioni normalmente utilizzate (p.es. il codice ASCII), anche se è più comodo accedere ai modelli di codice previsti dai costruttori delle macchine. Tali modelli sono lontani dall'essere completi, e comunque non sono aderenti alle esi- genze della ricerca umanistica, in particolare archeologica. In realtà, salvo il fatto che i dati devono essere discreti, la loro scelta e la scelta di come rappresentarli dipende esclusivamente dallo studioso. C'è inoltre una possibile confusione fra il momento della scelta di un codice e quello della individuazione della cor- rispondenza biunivoca fra i simboli ottenuti con il codice Archeologia e calcolatori 6 scelto e gli elementi della realtà che vengono rappresentati da quei simboli. Ci sono da un lato vari passaggi, per mezzo dei quali l'alfabeto dà origine a unità più complesse; dall'altro decisioni soggettive, mediante le quali si attua la corrispondenza fra gli elementi da codificare e le unità complesse. (Nota 16) Inoltre tutto questo va visto in rapporto ai differenti piani di rappresentazione della realtà. Infatti i procedimenti informatici possono essere applicati alla re- altà, come si presenta direttamente allo studioso; ovvero a rappresentazioni di tale realtà. Sarà perciò possibile dis- tinguere: 1. Rappresentazione diretta: è quella che avviene me- diante immagini assunte come tali (fotografia, riprese tele- visive, disegni, etc.) ovvero mediante banche dati formate per mezzo di inchieste dirette, cioè con questionari a cui rispondono i diretti interessati. La rappresentazione per immagini è naturalmente usata pesantemente in archeologia, e sarà opportuno citare il progetto ARCOS, perché frutto anche di una riflessione approfondita sui risvolti in fase di ricerca. (Nota 17) 2. Rappresentazione indiretta: in questo caso il pun- to di partenza è rappresentato da documenti scritti (anche letterari), i quali vengono codificati. La corrispondenza è dunque col documento, non con la realtà rappresentata dal documento. Questo significa che nel valutare i risultati dei procedimenti informatici occorrerà tener conto sia dell'in- terpretazione di chi ha redatto i documenti, sia di chi li codifica. 3. Rappresentazione doppiamente indiretta: quando il documento su cui si lavora è un'opera storiografica, da cui si ricavano notizie da codificare, si opera una prima sinte- si o scelta degli argomenti, oltre a codificare e inter- pretare il documento. Per l'archeologia è opportuno introdurre una dis- tinzione ulteriore, che riguarda la volontarietà e la con- sapevolezza del messaggio. Posto che con la codifica si perde sicuramente una parte dell'informazione contenuta in un messaggio (o comunque nella "cosa" che prendiamo in con- siderazione come trasmettitrice di un messaggio) mi sembra che uno dei criteri, forse il principale, per cercare di ridurre al minimo quella perdita, sia quello dell'aderenza alla volontà della sorgente del messaggio. A questo punto, l'archeologia si trova di fronte a due pos- sibilità che devono essere distinte. Da un lato, è p.es. possibile immaginare che chi ha costruito un edificio sacro abbia avuto effettivamente intenzione di trasmettere messag- gi che riguardassero la sua concezione della religione o an- che una sua concezione estetica; d'altro lato chi ha fabbri- Archeologia e calcolatori 7 cato un certo tipo di ceramica non ha sicuramente avuto in- tenzione di farci conoscere il tipo di società che essa pre- suppone. (Nota 18) 7. La codifica all'interno del processo archeologico La codifica è, per un verso, il momento iniziale di un pro- cedimento di ricerca, in particolare quello attuato mediante metodi anche informatici. Ma, sotto un altro aspetto, rapp- resenta anche (e forse principalmente) il momento conclusivo di un procedimento precedente, che ha condotto ad individ- uare: i confini del materiale documentario che si vuole prendere in considerazione; le caratteristiche di quel mate- riale che determinano il suo interesse per la ricerca; la scelta di un linguaggio per esprimere i due punti preceden- ti; il modo di esprimere in tale linguaggio l'identifi- cazione del materiale documentario e le sue caratteristiche. Risulta da questo che una codifica non sarà mai definitiva, perché i risultati del procedimento di ricerca che ha dato origine alla codifica è prevedibile che siano tali da far mutare almeno in parte la codifica, o almeno a rendere nec- essaria la codifica di ulteriori documenti o caratteris- tiche. (Nota 19) Dunque la struttura della codifica deve essere aperta, in modo che si possa intervenire apportando aggiunte o modi- fiche. In questo senso la codifica comprende anche l'aspet- to di struttura dei dati, non solo quello della loro indi- viduazione in quanto oggetti singoli; e sembra opportuno vederla come una struttura relazionale. La struttura re- lazionale dei dati è da un lato un modo più funzionale di gestire una banca dati; ma per quanto ci riguarda qui, essa, vista da chi la disegna nella fattispecie singola, è un al- tro dei modi di intendere la codifica. Il sistema relazionale è il migliore, perché la realtà è più vicina ad una struttura relazionale che non ad una struttura gerarchica. La struttura dunque di una banca dati re- lazionale riprodurrà in modo più fedele ciascuno degli oggetti della ricerca, anche perché ne manterrà i rapporti con gli altri oggetti su un piano parallelo, e non verti- cale, così come nella realtà vi sono piuttosto relazioni multiple sullo stesso piano che relazioni di dipendenza di un oggetto da un altro. D'altra parte c'è sempre un momento di crisi nella con- cezione di una struttura relazionale, ed è la scelta di ciò che si considera soggetto, e di ciò che si considera attrib- uto. A meno che non si facciano tabelle di due soli campi (identificativo e soggetto), quelli che per certi fini di studio sono considerati attributi per altri fini andranno considerati soggetti. Intendendo tuttavia il sistema relazionale come una Archeologia e calcolatori 8 costruzione teorica, è lecito chiedersi se le realizzazioni informatiche che ne vengono date rappresentino una situ- azione ottimale nella prassi. Si può allora dire che è in- dubbiamente vero che il sistema relazionale rappresenta un progresso radicale rispetto agli altri sistemi precedente- mente immaginati; ma che in ambito umanistico, e in partico- lare archeologico e storico, si fa strada la convinzione che esso possa rimanere sullo sfondo come organizzazione mentale dello studioso, da attuare al momento in cui serve, ed es- sere sostituito a livello di codifica da una procedura anco- ra più libera e aderente alla realtà come si presenta allo studioso. (Nota 20) Tale procedura si articola in due momenti fondamentali: (1) Codifica rappresentativa al massimo del documento. La codifica non è basata su ciò che sembri utile estrarre dal documento (questo si farà poi tramite i Tag), ma solo sulle caratteristiche intrinseche del documento, cioè sul messaggio "autentico" che chi ha prodotto il documento voleva trasmettere. Essa è attuata mediante file del tutto liberi, nei quali la struttura è determinata "a posteriori" da annotazioni (Tag) inserite diciamo così fuori testo, come un meta-linguaggio descrittivo. (2) Trattamento del documento in modo da estrarre come "secondo passaggio" le notizie utili per lo studioso, nella particolare indagine che sta conducendo. La codifica riveste dunque un'importanza assai maggiore di quella che di solito le si concede. C'è addirittura la pos- sibilità (che riteniamo da evitare) che essa diventi total- izzante, cioè che riunisca in sé anche gli altri passaggi del trattamento automatico (l'analisi dei rapporti logici fra i dati, e la verifica della correttezza teorica delle procedure di analisi e di sintesi). In effetti occorre sempre considerare con attenzione l'ele- mento di petitio principii insito nella codifica, cioè quel fenomeno per cui un certo materiale, codificato in un certo modo, darà necessariamente un certo tipo di risul- tati una volta sottoposto all'analisi automatica. Spesso questo fenomeno è sottovalutato, perché fra la codifica del materiale e i risultati che si ottengono non c'è più alcun intervento umano, che generalmente comporta un ripensamento successivo dei problemi. Questa è del resto una tipica caratteristica dei procedimenti automatici. (Nota 21) 8. La codifica come sintesi del conosciuto In conclusione, la codifica rappresenta la sintesi formale di quanto conosciamo dell'oggetto che vogliamo studiare. Essa deriva in prima istanza, cioè al momento della prima Archeologia e calcolatori 9 conscenza che si ha dell'oggetto, soprattutto dalla dialet- tica fra le caratteristiche intrinseche dell'oggetto (forma, dimensioni, materiale...) e la competenza archeologica dello studioso. Il confronto fra questi due elementi viene attuato con procedimenti sostanzialmente intuitivi, che determinano quali aspetti dell'oggetto prendere in considerazione e quindi codificare. Ma in un secondo tempo, quando sono stati effettuati degli studi, eventualmente anche con procedimenti automatici, su quell'oggetto, le conclusioni vengono a far parte esse stesse delle nuove competenze archeologiche, e quindi con- sentono di allargare e complicare il modo con cui viene con- siderato l'oggetto, e dunque la sua codifica. L'aspetto soggettivo insito in questa situazione non dovrebbe spaventare, perché (se le procedure sono attuate in maniera scientifica) non è più soverchiante di quello che esiste già all'origine. Inoltre, e soprattutto, se i procedimenti di studio sono stati automatizzati, la memoria di tali procedi- menti consentirà sempre di avere un controllo su quanto è stato fatto. D'altra parte la convenienza di approfondire i lati teorici del procedimento di codifica deriva dal fatto che esso, nell'ambito dell'automazione, è quello in cui mag- giormente entrano elementi soggettivi, mentre gli altri pro- cedimenti dovrebbero obbedire a regole logiche obiettive. Da ciò consegue una delle caratteristiche più interessanti delle metodologie informatiche, ma purtroppo anche meno tenute in conto fino a questo momento: la necessità di una completa trasparenza nella diffusione non solo dei risultati delle ricerche, ma anche degli algoritmi utilizzati, dei presupposti metodologici, e dell'esecuzione della codifica. Un'ultima considerazione deve poi essere dedicata al fatto che non è prevedibile che l'archeologia detta quantitativa sia destinata a sostituire quella che possiamo chiamare "concettuale", e quindi occorrerà mantenere fra i due metodi dei rapporti costruttivi. Tali rapporti potranno soprattut- to essere basati sul momento della codifica. NOTE 1. Bruce G. TRIGGER, A History of archaeological thought, Cambridge University Press, 1989; Jean-Claude GARDIN, Ar- chaeological Constructs, Cambridge University Press-Editions de la Maison des Sciences de l'Homme, Cambridge-Paris, 1980; Francois DJINDJIAN, Méthodes pour l'archéologie, Colin, Paris, 1991; Archeologia e Calcolatori, 1 (1990) e sgg. 2. Djindjian (cap. 15: Des méthodes aux formalisations des raisonnements en archéologie; op. cit. p. 325-340) parla di "formalisations des raisonnements", che coincide con quello che intendo con "punto di vista informatico". Egli tuttavia prende in considerazione i metodi, piuttosto che l'oggetto (parla infatti genericamente di "reconstruire le passé, p. Archeologia e calcolatori 10 326) e quindi può affermare che "l'archéologie n'existe pas, ou n'existe pas encore... il existe des archéologies" che via via si rifanno al conetto tradizionale di "archéologie des antiquités", o alle scienze naturali, o all'antropolo- gia, o allo strutturalismo, etc. A mio avviso, nel dis- tinguere i diversi ambiti applicativi, l'informatica (uman- istica) deve piuttosto prendere in considerazione gli ogget- ti della ricerca. I metodi finiscono per essere comuni e "trasversali". 3. Trigger, cit., sostanzialmente lo trascura. In effetti ancora l'archeologia informatizzata non sembra rientrare nell'orizzonte di una "sotoria", e solo con l'avvento delle ricerche aiutate dal calcolatore si è avvertita la necessità di formalizzare i linguaggi descrittivi. Cf. p.es. i lavori pionieristici di J.-Cl. GARDIN e collaboratori (serie dei "Codes pour l'analyse...", Paris CNRS, 1976-78). 4. Gardin (cit. nota 1), cap. 3: The Analysis of Compila- tions. 5. Djindjian (cit. nota 1) p. 99-100. 6. Sulla distinzione fra informatica come tecnologia e "in- formatica teorica" cf. T. ORLANDI, Informatica umanistica, realizzazioni e prospettive, in: AA. VV., Calcolatori e Scienze Umane, Milano 1992, p. 1-22 (sopr. p. 11-16). 7. Cf. T. ORLANDI, Informatica Umanistica, Roma 1990, cap. 2. 8. Per una discussione più ampia, cf. G. ADAMO, La codifica come rappresentazione, in: G. GIGLIOZZI (ed.), Studi di cod- ifica e trattamento automatico di testi, Roma 1987, p. 39-84. 9. Trigger (cit. nota 1) p. 196. 10. A. C. SPAULDING, Some Elements of Quantitative Archaeol- ogy, in: F. R. HODSON (etc., eds.), Mathematics in the Ar- chaeological and Historical Sciences, Edinburgh 1971, p. 4. 11. Djindjian (cit. nota 1) p. 76. 12. Gardin (cit. nota 1), p. 38. In modo più "informatico" diremmo che si tratta dell'opposizione fra continuo e dis- creto e del relativo passaggio dall'uno all'altro, che per- mette la comunicazione scientifica, e in particolare l'anal- isi informatica. Tuttavia esempi come quello del progetto ARCOS (cf. Arch. & Calc. I, p. 179 sgg.) indicano come sia difficile esplicitare il confine fra i due sistemi. 13. Mentre per Djindjian la codifica è sempre in vista di una analisi quantitativa (cit. nota 1, p. 76 e p. 99), nella visione di Guimier-Sorbets può avere un valore documentario Archeologia e calcolatori 11 in se stessa, preliminarmente ai procedimenti di analisi. Cf. A.-M. GUIMIER-SORBETS, The Research Centre for Automatic Treatments in Classical Archaeology, "Computer and the Hu- manities" 20 (1986) 319-321; inoltre cf. nota 20. L'accento è posto tuttavia sull'information retrieval con linguaggio naturale. Più difficile è stabilire quanto questo approccio libero alla codifica (che in verità è quello che preferirem- mo, a certe condizioni) possa poi dar luogo ad analisi auto- matiche. 14. Cf. Irigartua, cit. sotto (nota 15), p. 78. 15. The Computer and the Historian's Work, "History and Com- puting 3 (1991) 75. 16. Cf. Orlandi (cit. nota 7). Su questa problematica si fonda il lavoro del prestigioso gruppo internazionale della Text Encoding Initiative, volto a formalizzare un "linguag- gio di descrizione" dei testi che prevede preliminarmente la scelta accurata degli elementi da descrivere, e quindi codi- ficare. 17. Cf. F. KRITZINGER, M. SCHICK. W.-R. TEEGEN, Un calcola- tore disegna e registra ceramica antica: il sistema ARCOS-1 negli scavi di Velia, comune di Ascea (Salerno), "Archeolo- gia e Calcolatori", 1 (1990) 179-210. 18. Cf. Trigger (cit. nota 1), p. 19-21. La discussione a p. 297-99 sulle teorie di Binford, sul significato della re- lazione fra tecnologia, organizzazione sociale, ideologia si può considerare basata sul valore documentario dato a questo proposito ad oggetti che non sono nati propriamente per questo. 19. La codifica si inserisce così nel processo che torna su se stesso ben delineato da Gardin (cit. nota 1) cap. 5, e poi da Djindjian (cit. nota 1) p. 334. 20. Per questo rimando alla pubblicazione in corso di un seminario tenuto presso l'Accademia dei Lincei su "Strumenti Informatici nelle Discipline Umanistiche: il Problema dell'Integrazione" (5 ottobre 1991). Si vedranno soprattutto i contributi di Manfred Thaller e Anne-Marie Guimier-Sor- bets. 21. E' interessante notare come Djindjian rifugga dal par- lare di informatica e automatismi quando delinea il suo sis- tema formalizzato (cit. nota 1, cap. 15). Probabilmente egli non intende automatizzarlo, ma dal nostro punto di vista formalizzazione e automazione (logicismo) in sostanza coin- cidono.