Ecdotica, critica testuale, editoria scientifica e mezzi informatici elettronici
Tito ORLANDI
Ripartiamo dai diasistemi
Il titolo di questa sessione è particolarmente suggestivo e merita alcune considerazioni preliminari. I nuovi sistemi sono evidentemente quelli resi disponibili dall'informatica; ed il fatto che si parli di una (nuova) «era critica» allude ad un'evoluzione della filologia che va oltre i semplici cambiamenti dovuti ad un progresso puramente tecnologico. Si presume, ed io cercherò proprio con questo contributo di spiegarne le ragioni, che la critica del testo si avvii ad una revisione di tipo metodologico.
La preposizione «verso», con cui il titolo è introdotto, non deve essere sottovalutata. Nonostante i sistemi informatici siano disponibili da parecchio tempo, il rinnovamento che essi implicano non è ancora avvenuto: siamo all'inizio di un cammino ancora tutto da percorrere. Ma di una cosa si deve essere coscienti: quel rinnovamento non è una possibile opzione, ma un percorso obbligato. Questo almeno ci insegna la storia, che presenta un parallelo sicuro, e del resto ampiamente discusso da tempo, con il momento in cui la stampa sostituì il manoscritto. Ciò di cui resta da prendere coscienza è il significato profondo del previsto rinnovamento.
Un filologo che conosca in modo superficiale gli strumenti che la tecnologia informatica rende disponibili per il suo lavoro, o che ne abbia notizia indiretta, tramite letture o per sentito dire, è naturalmente portato a considerarli un possibile ausilio puramente pratico od operativo, che lascia inalterato il patrimonio essenziale dei principi e dei metodi della propria disciplina. Infatti egli è portato a trascurare le differenze sostanziali, e non puramente accidentali, che sono tipiche degli strumenti dell'informatica rispetto agli strumenti tradizionali, nella loro specificità di supporto dell'informazione; e per altro verso egli tende a lasciare implicita, cioè non del tutto cosciente, l'influenza che i supporti tradizionali dell'informazione hanno sui principi e sui metodi della filologia.
A nostro avviso questa situazione ha prodotto e continua a produrre conseguenze nefaste sul rapporto fra filologia ed informatica, ed impedisce di scorgere il vero contenuto della rivoluzione che sarà prodotta dai «nuovi sistemi». Per tal motivo la prima parte del nostro contributo sarà dedicata a chiarire, per quanto ci sia possibile, quei due aspetti del problema.
Comunque si voglia definire l'informazione (concetto che ha dato il nome all'informatica, e dunque essenziale per il nostro argomento) credo che su due suoi aspetti si possa trovare un generale accordo: (1) la trasmissione dell'informazione richiede dei canali comunicativi materiali, mentre l'informazione stessa non è qualcosa di materiale; (2) i testi di cui si occupa il filologo contengono informazione, ed è tale informazione che il filologo si propone di accertare come autentica e diffondere nel modo più corretto. D'altra parte i canali comunicativi materiali (manoscritti ed edizioni a stampa) richiedono la massima attenzione, in quanto senza il loro apporto il filologo non potrebbe avere accesso all'informazione.
Il canale comunicativo materiale, cioè il supporto, con cui ha a che fare il filologo, sia egli filologo orientalista o classico o romanzo o moderno, è costituito dalla superficie scrittoria e dalla scrittura. Nel sistema tradizionale il compito del filologo è quello di vagliare l'informazione disponibile su ogni esemplare di tale supporto (il singolo manoscritto), metterla a confronto con quella degli altri esemplari, e riprodurre e diffondere il risultato delle sue analisi, cioè l'informazione «autentica» (il testo «critico», su un analogo supporto costituito da una superficie scrittoria e da una scrittura.
Per converso, il canale comunicativo materiale necessario per chi utilizza strumenti informatici è (attualmente) un supporto di tipo magnetico, che deve essere utilizzato in quanto soltanto esso è capace di contenere informazione in modo tale che possa essere sottoposta a procedimenti automatici. La scrittura, una volta fissata sulla apposita superficie, non si muove; i bit sì. Ma a questa differenza, che sembrerebbe a prima vista tutta a vantaggio del supporto elettronico, ne corrispondono altre che modificano e comunque rendono problematico il rapporto fra i due procedimenti.
Prima di tutto, la scrittura è immediatamente evidente ai sensi dell'individuo umano, in particolare alla vista, mentre i bit del supporto elettronico possono essere riconosciuti dall'individuo umano soltanto tramite appositi strumenti, che li possono (rap-)presentare nei modi più svariati. Essi sono altrettanto materiali quanto la scrittura (questo lo sottolineo, per quanto sia ovvio, perché spesso viene mitizzato l'aspetto «virtuale» dei sistemi informatici), ma questa, una volta fissata sulla apposita superficie, non cambia; i bit sì.
In effetti il pregio principale dei bit, rispetto alla scrittura, è costituito appunto dal fatto che si muovono (virtualmente, in questo caso) uno rispetto all'altro, e cambiano: o per meglio dire, si muovono e cambiano senza intervento umano diretto ed immediato, e in modo molto diverso dagli eventuali cambiamenti fisici a cui col tempo soggiace la scrittura col suo supporto. Questo «movimento» non provocato dall'uomo (se non in modo mediato) né dalla natura (se non guidata da istruzioni) si qualifica come «automatico» almeno da Aristotele (Phys. 2.6) in poi.[nota:]
Per questo concetto di automatismo, cf. Tito ORLANDI, Informatica umanistica, Roma 1990, p. 53-54.In esso consistono le procedure informatiche applicate ai testi, che attirano l'attenzione, fra gli altri, del filologo.
Vi è un'ulteriore differenza fra il sistema di bit e il sistema della scrittura. La scrittura si basa sulla individuazione e determinazione convenzionale di un certo numero di segni, che può essere molto grande come nel caso della scrittura cinese, ma deve essere comunque finito. Il sistema dei bit può fare ricorso esclusivamente a due segni, che sono in un certo senso semplicemente uno la negazione dell'altro. Per ottenere risultati paragonabili a quelli della scrittura, occorre considerare come unità significative non i singoli bit, ma la sequenza di un certo numero di essi, per cui unendo il valore del singolo bit con un valore dato dalla sua posizione nella sequenza si possa ottenere un numero infinito (e dunque, se si vuole, anche finito) di combinazioni, ciascuna delle quali si può considerare un segno individuale diverso dagli altri. È un sistema analogo a quello per cui con un numero limitato di lettere alfabetiche si può ottenere un numero infinito di parole.
Rimane il fatto che la sequenzialità costituisce una caratteristica essenziale del supporto magnetico, e questo forma una ulteriore differenza con la scrittura. Essa utilizzando appieno le capacità del supporto «planare», cioè costituito da una superficie, insieme con la diretta percezione di esso da parte dell'individuo umano, sfrutta la bidimensionalità di tale supporto per diversificare il valore dei segni a seconda dello spazio occupato. La scrittura ha due dimensioni, il bit no.
Il concorrere di queste due caratteristiche: l'accesso diretto sensoriale, che consente di comprendere nella materialità del testo la connotazione insieme con la denotazione; e la bidimensionalità, che per mezzo della posizione, grandezza, etc. dei segni ha un immediato significato connotazionale, ha come immediata conseguenza che un certo tipo di competenza accompagna implicitamente l'uso del sistema della scrittura.
Il lettore percepisce più o meno inconsciamente una quantità di informazioni che va molto oltre la semplice sequenza dei grafemi. Egli compie inconsciamente il passaggio dai glifi ai grafemi[nota:]
Intendiamo per glifo il disegno reale, materiale, di un grafema; il grafema è il modello astratto dei glifi, l'invariante rispetto alle variazioni dei singoli glifi.alle lettere, scegliendo di volta in volta il piano di analisi conveniente. Inoltre, a titolo esemplificativo, riconosce che vi sono degli attributi che si riferiscono non a singoli elementi del linguaggio, ma a sequenze di piú elementi. Prima di tutto le parole, che sono sequenze di lettere, e che in effetti sollevano problemi di individuazione, perché possono essere aperte da inizio linea, da spazio, etc.; e chiuse da spazio, fine linea, punteggiatura, etc. Analoga è la posizione delle frasi, che sono sequenze di parole, con problemi analoghi di individuazione.
Ma soprattutto egli riconosce con la sua competenza raggruppamenti tipicamente semantici (titolo, paragrafo, citazione, etc.) che non solo hanno in comune con gli elementi precedenti la necessità di essere individuati, ma portano con sé attributi da specificare, che riguardano appunto il significato della loro individuazione.
E v'è di piú: il problema di questi ultimi elementi ci mette sull'avviso che certi tratti semantici sono stati risolti troppo disinvoltamente: una maiuscola iniziale modifica il significato non della lettere rappresentata, ma delle parola tutta; ovvero rappresenta il confine (iniziale) di un paragrafo, etc.
Invece il sistema dei bit deve essere completamente esplicito rispetto al significato dei segni, cioè deve inglobare in sé la competenza del lettore, che nella trasmissione di informazione tramite la scrittura rimane implicita. Dunque per passare dal supporto planare a quello elettronico occorre tener conto non solo dei segni (grafici) ma anche della competenza che li accompagna nell'autore e nel lettore.
Gioverà inoltre proporre la seguente osservazione. Gli strumenti dell'informatica possono essere utilizzati in due modi molto differenti. Il primo, quello più usuale, consiste nel fare in modo che le sequenze di bit siano opportunamente trasformate in modo da sottoporre ai sensi dell'individuo umano un prodotto del tutto analogo a quello della scrittura, in special modo di quella mecanizzata, cioè della stampa. Questo è quanto si fa normalmente nelle cosiddette edizioni elettroniche, che si leggono attraverso pacchetti quali acrobat, panorama, etc., che lasciano l'utente all'oscuro di quanto avviene e di quanto c'è nel computer, con conseguenze assai nocive al corretto uso dell'ambiente informatico. Usati in tal modo, gli strumenti dell'informatica non pongono alcun vero problema metodologico, e quindi non ce ne occuperemo.
Il secondo modo consiste nell'usare le sequenze di bit per compiere una serie di analisi automatiche, soprattutto di confronto fra diverse serie di bit e di rilevamento di uguaglianze e differenze, e quindi una serie di trasformazioni in base a regole logiche applicate a quelle uguaglianze e differenze. Questo è l'aspetto veramente interessante e innovatore degli strumenti informatici, sul quale fermeremo la nostra attenzione. Occorre avere ben presente che in questo modo, piaccia o non piaccia, si delega alla macchina qualche azione che finora è stata propria dell'uomo, e dunque occorre che tutti gli elementi di questa azione (il suo oggetto, le procedure, il fine) siano assolutamente limpidi ed espliciti. È questo il motivo per cui assume grande importanza quanto si è notato sopra circa le differenze fra supporto planare di scrittura e supporto elettronico.
Noteremo ancora che esiste per la verità un terzo modo di usare la macchina, quello di compiere dei calcoli matematici, la cui utilità ha radici del tutto estranee all'informatica, e dunque non intendiamo trattarlo, anche perché è oggetto di altri interventi.
Passiamo ora all'altro fenomeno cui abbiamo accennato, e cioè l'influenza che i supporti tradizionali dell'informazione hanno sugli stessi principi e sui metodi della filologia, influenza che non è di solito presente all'attenzione dell'editore di testi. In effetti il concetto moderno di edizione, e poi di edizione critica, nasce con l'affermarsi della tecnica della stampa, tanto che normalmente per edizione tout court si intende la presentazione a stampa di un testo. Non è prevista l'esistenza di altro mezzo di memorizzazione e di comunicazione.
La rivoluzione informatica trova le metodologie ecdotiche in crisi. Rammentiamo alcuni osservazioni di Cesare Segre[nota:]:
Semiotica filologica. Testo e modelli culturali, Torino, Einaudi, 1979, p. 53.
E altre di Ezio Raimondi[nota:]:Dopo le tempeste che si sono abbattute sulla critica testua- le, una certa pace si diffonde. Una pace che in certi paesi ras- somiglia alla morte, dato l'abbandono in cui questa attività è ormai lasciata. Ma altrove, le esperienze sono continuate, si vanno applicando metodi sempre più raffinati, e anche l'im- piego degli ordinatori elettronici invita a ulteriori chiarifica- zioni.
Tecniche della critica letteraria, Torino, Einaudi, 1967 e 1983 = Piccola Biblioteca Einaudi 440, p. 65.
Certo, oggi piace a molti, come forse non accadeva in passato, di usare un ter- mine quale "filologico". Quando si vuol dire di uno che è bravo, anche fra uomini di lettere, la formula di rito è che egli "ha metodo filologico", o "preparazione filologi- ca", con una lode che poi, al filologo di mestiere, fa pen- sare a certi dialoghi tra amici che, trovandosi a parlare di qualcuno e non potendo, o non volendo, riconoscergli al- tri meriti, concludono d'accordo, non senza un filo d'ipo- crisia, che è "tanto buono"... Ad ogni modo resta il fatto che la filologia sembra riscuotere ora, al livello della cultu- ra non specializzata, una stima abbastanza diffusa, sebbe- ne tutt'altro che chiara e razionale.
Purtroppo i problemi di tipo metodologico che vengono discussi[nota:]
Inutile richiamarli esplicitamente, in quanto sono menzionati e discussi in molti interventi del Convegno.per quanto importanti e interessanti sotto molti aspetti, non sono quelli che possono introdurre la filologia nel nuovo ambiente multimediale[nota:].
Per la relazione fra multimedialità e informatica cf. Tito ORLANDI, Multimedialità, tecnologia, e società. Presentazione della tavola rotonda. In: ...Si avvicinano parzialmente quelli dedicati ai fenomeni ortografici e simili, ma sono troppo orientati verso l'esito a stampa. In effetti il dibattito ha sempre la stampa come confine. La ricostituzione del testo è sempre legata alla sua rappresentazione in un certo modo, cioè per mezzo della stampa.
Il punto cruciale è quello della soluzione pragmatica. Dato un problema, esso ha spesso soluzioni ambivalenti, soprattutto quando concerne piani differenti (grafia e valore fonetico; glifia e grafia; etc.). Quando si stampa occorre dare una soluzione (eventualmente con il ricorso ad un apparato); questo non è necessario in ambito informatico, o comunque la necessità assume un aspetto ben diverso. Per dare maggiore concretezza alle precedenti osservazioni, faremo riferimento a due punti molto interessanti del fondamentale libro di Alfredo Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, Bologna, 1994. Il primo riguarda il rapporto fra ortografia e testo (p. 57-8, corsivi nostri):
A parte dunque qualche incongruenza, il nostro attuale sistema grafico è abbastanza funzionale, soprattutto se confrontato con quello inglese, o francese; comunque sia, esso è ormai stabile e familiare ad una vasta comunità di gente che legge e scrive. Ma nei manoscritti e nelle stampe, fino ancora all'Ottocento, si trovana grafie diverse, va- riabili a seconda delle epoche, delle regioni, degli ambienti culturali e degli stessi individui. Lette secondo la norma attuale, potrebbero in- durre in errore e creare perplessità, rischio forte soprattutto nel caso di edizioni destinate ad un largo pubblico. Bisogna perciè talvolta chiedersi se intervenire con modernizzazioni e introdurre, al posto delle vecchie grafie, quelle attuali equivalenti dal punto di vista del valore fonetico: per limitarsi all'esempio precedente, dampno dovreb- be essere sostituito da danno perché cosí certamente si pronunciava (a parte l'Italia settentrionale, dove si sarà detto dano), quale che fosse la scrittura. Tale certezza, quanto al rapporto grafia-fonetica, non sempre si raggiunge, ed allora, nel dubbio, è meglio conservare per non correre il rischio di stravolgere la lingua stessa dell'opera in questione. Qualora poi venga meno la necessità di fornire ad un lar- go pubblico un testo leggibile senza imbarazzo, sempre coriviene ri- durre al minimo gli interventi: i fatti grafici hanno uno spessore cul- turale, piccolo o grande che sia, forniscono informazioni che possono risultare preziose, soprattutto se si tratta di epoche nelle quali sono rari i testi in volgare.
L'altro punto importante (p. 170-261) riguarda la filologia d'autore, cioè i testi dei quali sono conservati i manoscritti autografi, ed è composta sostanzialmente di consigli pratici su come riprodurre a stampa le loro caratteristiche.
Questa concezione ha l'effetto di mescolare insieme due elementi delle procedure ecdotiche nascondendo la loro indipendenza e inserendo nell'una elementi che derivano dall'altra o comunque hanno ragion d'essere solo nell'altra. Intendo da un lato le procedure intese a stabilire per quanto possibile la forma originale del testo; dall'altro le procedure intese a rendere accessibile tale forma mediante la produzione di un libro stampato.
Giova prendere coma autore di riferimento il Contini, nel quale l'aspetto artigianale del lavoro filologico assume giustamente e sanamente un forte rilievo. È più agevole, per questo, rilevare come parecchie indicazioni di tipo metodologico trovino la loro giustificazione nelle possibilità e impossibilità del prodotto a stampa. Si vedano p.es. nel Breviario di ecdotica le p. 37-38:
Ma soprattutto la scelta del codice è tutta una difficoltà, data l'impraticabile attuazione generale di tante edizioni quanti i manoscritti. Il Bédier è primo a sapere che 'il migliore' non è necessariamente il piú antico, giusta il monito che sarà del Pa- squali, né il piú corretto, che potrebbe dovere la sua levigatezza a uno scriba attento al senso a costo di interventi.
E ancora a p. 43:
Apparati e descrizioni formali - I due limiti opposti, della restituzione malcerta da non introdurre, lasciando a titolo di vi- caria simbolica una rappresentazione tradizionale, e della corre- zione sicuramente erronea da non introdurre, definiscono la ri- costruzione formale nella sua ordinaria amministrazione, il cui conservatorismo può sembrare in definitiva parallelo a quello sostanziale del Bédier. Il parallelismo va anche piú innanzi: a parità di condizioni, si adotta costantemente la forma di un te- stimone, scelto (ma per solito apoditticamente) per ragioni o di antichità o di congruenza regionale o di sorvegliata organicità. L'apparato formale si tiene normalmente distinto da quello so- stanziale (inclusivo delle forme-limite), e salvo casi in cui non sia d'inutile ingombro (o non sia di notevole interesse culturale, com'è per i primi copisti della Commedia) anche soppresso del tutto, segnati solo i casi di allontanamento dal codice adottato. Non ci si sottrae all'impressione che la forma passi in seconda linea innanzi alla sostanza, atteggiamento peraltro rispondente a una saggia economia della ricerca.
E ancora a p. 41-42:
Lo studioso finlandese Tallgren (-Tuulio) ha mostrato le difficoltà di ritraduzione insite nelle liriche siciliane e ha formulato con chiarezza una tipologia di cinque edizioni possibili, dalla piú integralmente ricostruita alla piú conserva- tiva rispetto alla tradizione, adottando per proprio conto una soluzione intermedia, siciliana al limite della documentazione. Anche le ricostruzioni prodotte successivamente da studiosi si- ciliani sono state esperimenti da collocare in appendice o in con- tropagina, come quelle degli unica continentali serbati in codici anglonormanni, cioè di un territorio che, in simbiosi con un senso sillabico diverso dal francese, non trovava freno alle inno- vazioni nella coscienza dello schema.
In conclusione potremo affermare che l'uso della stampa, col corollario del necessario intervento della competenza del lettore ha contribuito a mantenere implicite distinzioni sottili ma importanti come livello grafico e livello di significato testuale astratto; ha permesso la divaricazione fra ricostruzione del testo e sua interpretazione; e ha permesso di tenere incerto il confine fra filologia ed ecdotica (cf. Raimondi).
L'avvento della tecnologia informatica, sostituendo la stampa come supporto di comunicazione (nei suoi due aspetti di conservazione e di diffusione dell'informazione), contribuisce a scindere nettamente il momento della ricostituzione del testo da quello della materializzazione (conservazione) e della trasmissione (diffusione). Piú ancora, come si è visto sopra, e come analizzeremo ampiamente piú oltre, muta la visione sostanzialmente unitaria del testo atomizzandola, per così dire, in una serie ampia, forse potenzialmente infinita, di costituenti informativi, ciascuno dei quali acquista, o spesso riacquista, valenze differenti. Così possono mantenere una loro indipendenza, p.es., l'aspetto linguistico, quello grafico-fonetico, quello ortografico, quello dello stile grafico, etc.
Ma, e soprattutto, una delle conseguenze dell'uso sostanzialmente obbligato della stampa per trasmettere testi, così come del patrimonio concettuale che la stampa ha ereditato naturalmente dalla tecnica del manoscritto, è la incerta definizione del concetto di testo. Questo aspetto assume tale importanza che va discusso dettagliatamente.
Della difficoltà di definire con sufficiente precisione e con sufficiente comprensività il concetto di testo sono consci tutti coloro che hanno affrontato i problemi teorici dell'ecdotica. Alcuni di essi (forse la maggior parte) risolve tale difficoltà tralasciando di darne una definizione; gli altri per lo più si limitano a illustrarla senza approfondirla troppo. A noi basterà, per chirarire i principali aspetti del problema, rimandare a Cesare Segre, Avviamento all'analisi del testo letterario, Torino, 1985, p. 28-29:
Parola di uso amplissimo, ma vago, testo assume un valore particolare nell'analisi letteraria. Nell'uso comune, testo, che deriva dal lat. TEXTUS `tessuto', sviluppa una metafora in cui le parole che costituiscono un'opera sono viste, dati i legami che le congiungono, come un tessuto. Questa metafora, che anticipa le osservazioni sulla coerenza del testo, allude in par- ticolare al contenuto del testo, a ciò che sta scritto in un'opera. Applicata, come si fece nel medioevo, ai testi forniti di una particolare autorità (la Bibbia, il Vangelo; oppure testi giari- dici), la metafora enfatizzava la genuinità del testo nella sua lettera, contrapponendolo da un lato a trascrizioni non esatte (il testo è allora la trascrizione completa e fededegna), dall'al- tro alle chiose e glosse che eventualmente lo illustrano. In tutti questi significati il testo è visto come uno scritto, anche se può esser trasmesso oralmente; e proprio per questo la parola ha anche potuto indicare il materiale scritto da cui il testo è tra- smesso: sicché testo può indicare il manoscritto o il volume a stampa di una data opera.
Quello che preme di chiarire, e che si desume anche dalle affermazioni di Segre, è che il testo risulta, in coloro che lo trattano, un fenomeno unitario con caratteristiche diverse, che vengono di volta in volta prese in cosiderazione in relazione ai problemi che interessano, come se costituissero esse sole il testo tout court. Così accade che per testo si intenda via via il significato del testo, cioè il suo aspetto linguistico a prescindere dall'ortografia, oppure la sua formalizzazione ortografica, o fonetica, etc. etc. E tutto questo non è mai detto esplicitamente, ma è lasciato all'intuizione del lettore.
Questo non ostacola, in ambiente «umano», il corretto svolgimento delle conseguenti analisi, e la loro comprensione da parte dei fruitori; ma non è ammissibile quando si agisce in ambito informatico, perché in tale ambiente non si può, senza ulteriori accorgimenti, sottoporre a procedimenti automatici un testo che si supponga caricato della coscienza e della competenza di un individuo umano che lo prende in considerazione, e che sia capace di separare la forma dalla sostanza, la grafia dal significato, etc., mentre come abbiamo visto sopra il sostrato informatico non è direttamente attingibile e tanto meno gestibile dall'individuo umano.
Per chiarire meglio il rapporto fra il testo inteso nel suo senso piú generale e la possibilità della sua rappresentazione in una macchina, osserveremo che già nell'espressione comune il testo è un oggetto astratto che può presentarsi sotto forme materiali differenti. Quando si riconosce un testo al di là del diverso aspetto che esso assume in diversi manoscritti o in diverse edizioni a stampa, è implicito che il testo è inteso come l'invariante al di là di diverse materializzazioni.
Altre volte, come è noto, si intende per testo il significato del testo, nel senso più alto e comprensivo del termine, come contenuto del messaggio che l'autore vuole trasmetterci; ma anche il rapporto significante/significato vale su più livelli, come ancora nota opportunamente Segre, distinguendo fra significato (diciamo coì) ultimo di un testo e significato spicciolo delle sue componenti materiali (Avviamento, cit., p. 29):
Se consideriamo i segni grafici (lettere, interpunzione, ecc.) come significanti di suoni, pause, ecc., e riflettiamo sul fatto che questi segni possono essere trascritti piú volte e in vari mo- di (per esempio con grafia e caratteri diversi), restandone im- matato il valore, possiamo concludere che il testo è l'invarian- te, la successione di valori, rispetto alle variabili dei caratteri, della scrittura, ecc. Possiamo anche parlare di significati, se si precisa che si allude a significati grafici, quelli della serie di let- tere e segni d'interpunzione che costituiscono il testo. Il te- sto è dunque una successione fissa di significati grafici. Questi significati grafici sono poi portatori di significati semantici, co- me vedremo subito; ma occorre insistere in partenza su questa costituzione originaria.
Del resto proprio secondo il normale concetto e prassi di edizione, quello che interessa, nel riprodurre un testo, non è in realtà il suo aspetto fisico, ma è il suo significato, inteso sui vari piani sopra accennati. Per comprendere questo aspetto, basterà riflettere sui diversi elementi del testo materiale, e mettere in evidenza il fatto che per gli editori alcuni di essi sono importanti, altri non lo sono, altri sono trattati in modo implicito.
Ne indichiamo alcuni, a mo' di esempio: Aspetti importanti (da riprodurre comunque): sequenza dei grafemi. Aspetti non importanti (da non riprodurre come tali, possono venire rifatti): organizzazione puramente estetica della pagina. Divisione in linee, divisione delle parole negli a capo, grandezza del corpo di scrittura, tipo delle polizze organizzazione pratica: titoli correnti, numerazione delle pagine, frontespizio, indice. Aspetti di significati impliciti: alternanza di maiuscole e minuscole, corsivi, evidenziazioni di vario genere, virgolette, trattini, varianti ortografiche, valenze metriche, etc.
In realtà molti degli aspetti non ritenuti importanti fanno parte del significato del testo; ma soprattutto gli aspetti impliciti (cioè dati per scontati) ci indicano che la pura sequenza dei grafemi non è il solo elemento testuale da cui si possa ricavare il significato del testo.
Risulta da quanto abbiamo detto che noi proponiamo, per l'ambiente informatico, non una soluzione «unificante» quale può fornire la stampa, anche se il ricorso all'apparato o agli apparati prefigura una presentazione di diverse possibilità, ma un ambiente comunicativo nel quale sia prevalente la suddivisione dei piani di apprezzamento. Occore un sistema di «descrizione» del testo che ammetta piani differenti. È necessario, in altre parole, ricorrere ad una teoria (e poi ad una conseguente prassi) che possa dar conto ragionevolmente degli aspetti multiformi e molto variati del testo in tutte le sue dimensioni, in modo che esso possa essere riprodotto quanto più fedelmente ed integralmente possibile nell'ambiente informatico.
I migliori tentativi fatti finora in questo senso si muovono nell'orizzonte dello strutturalismo e della semiotica; e tali tentativi conservano molti elementi positivi. Ma occorre compiere un ulteriore passo, e questo è possibile soltanto spostandosi verso una teoria relativamente recente, ed ancora in forte progresso, cioè la teoria dei sistemi, e del loro sbocco pragmatico che è la teoria dei modelli. La teoria dei sistemi, nata in ambiente cibernetico, che dunque tiene pienamente conto della rivoluzione informatica, cerca di dare una visione metodologica comprensiva di fenomeni complessi formati da elementi non esattamente definibili in modo stabile che interagiscono producendo risultati diversificati a seconda del multiforme comportamento di tali elementi[nota:].
Per una veduta d'insieme, amichevole per un umanista, e con ampia bibliografia, indichiamo: Lars SKYTTNER, General Systems Theory. An Introduction, Houndmills etc., 1996.
Mi sembra che questa definizione mostri già di per sé che una simile teoria, se in effetti potesse essere presentata in modo convicente, costituisca una ragionevole soluzione ai problemi che abbiamo delineato sopra. Ma ciò tanto più in quanto essa, secondo le proposte finora fatte, tende a privilegiare il dinamismo delle procedure rispetto alla staticità degli oggetti che costituiscono di regola la base della costruzione delle altre teorie; e dunque a sottolineare la provvisorietà delle soluzioni in una realtà che si rivela sfuggente rispetto ad analisi che pretendono di descriverla come statica.
È noto come nessun editore sia tanto ingenuo da pretendere che il testo da lui fornito sia definitivo; ma non c'è dubbio che le costrizioni imposte dai mezzi con cui egli era costretto a comunicarlo al pubblico diano la forte impressione che egli lo consideri tale o addirittura che tale esso sia. Questo non accade con la teoria dei sistemi, e noi cercheremo di darne qui un'idea generale applicata al tema di questo convegno per mostrarne le possibili capacità positive.
Un sistema può essere inteso (per quanto è utile nel nostro caso) come un procedimento nel quale una serie di dati in ingresso viene convertita mediante una serie di simboli che il sistema riconosce, e sottoposta a variazioni secondo una serie di regole interne al sistema, producendo un determinato risultato[nota:].
Cf. Skyttner, cit., p. 35 e 37-38.Conoscendo i dati in ingresso, i simboli, e le regole del sistema, è possibile predire il risultato; ma all'inverso, conoscendo il risultato, i simboli, e le regole, è possibile immaginare (o, se si preferisce, conoscere) i dati in ingresso.
Un sistema non agisce nell'isolamento; non solo rispetto ai dati in ingresso e al prodotto in uscita, ma anche rispetto ad altri sistemi con cui interagisce. È possibile che parte dei dati in ingresso provengano dal prodotto di altri sistemi, o anche da parte del prodotto di altri sistemi. Si forma così un sistema più complesso, nel quale i rapporti fra sistemi componenti non sono di tipo gerarchico, dunque statico, ma flessibile e dinamico.
Così p.es. è dato delineare la lingua come sistema, e la grafia come altro sistema; e descrivere i rapporti tra i due sistemi come parziale adattamento dell'uno all'altro con intrusione di elementi propri di (cioè prodotti da) altri sistemi.
Nall'ambito delle scienze naturali o anche di quelle sociali, per descrivere i sistemi vengono usati dei modelli matematici. Il «modello» è senza dubbio il modo giusto per descrivere i sistemi che interessano le scienze umanistiche, ma non si tratterà di modello matematico, sibbene di un tipo di modello che oserei definire semiotico.
Infatti l'informatica è, a nostro avviso, in primo luogo un'attività semiotica, tanto che giustamente il computer è stato definito un «manipolatore di simboli». È una constatazione malinconica che a questo aspetto si presti normalmente scarsa attenzione. Soprattutto si trascura il fatto che quanto è gestito dall'intelligenza umana, soprattutto i simboli, è sempre sottoposto ad operazioni implicite di vario tipo, che non possono rimanere tali per il computer. Tutto deve essere esplicito, se non si vuole falsare dall'inizio i risultati che fornisce il computer.
Anche i modelli sono oggetto di una disciplina specifica[nota:]
Cf. Skyttner, cit., p. 54.che si viene sviluppando a partire da tempi relativamente recenti. Qui basterà accennare in sintesi che per modello potremo intendere una costruzione astratta basata su simboli che rappresentano i singoli elementi (fisici o mentali) del sistema che deve essere studiato, e da regole di manipolazione di quei simboli, cioè in sostanza dei loro rapporti, intesi però in senso dinamico, che rappresentano i processi a cui gli elementi vengono sottoposti. Nel nostro caso si tratta per lo più di processi mentali.
Per configurare il testo come sistema occorre preliminarmente scinderlo nelle sue componenti, che saranno considerate dei sottosistemi, in base ad una serie di dati in ingresso, alla loro trasformazione, e alla produzione di dati in uscita. Il testo stesso ha (secondo le tradizionali vedute semiotiche) come ingresso il messaggio astratto, il contenuto del messaggio, che l'autore intende trasmettere, e come prodotto il manufatto materiale che chiamiamo di volta in volta manoscritto, libro, etc.
Il modello del testo che cercheremo di delineare in questa sede si compone dei modelli dei sottosistemi che abbiamo individuato e prendiamo in considerazione; altri (come p.es. il sistema fonetico) non entrano in questa trattazione; altri è possibile ci sfuggano attualmente, e vengano individuati in séguito. Invece di parlare di modelli di sistemi, parleremo tout court di sistemi, e li definiremo in base all'input (ciò che essi trasformano), all'output (il prodotto), e alla competenza, cioè le regole di trasformazione, comprendendo anche i materiali come le parole o i segni grafici.
Avremo perciò:
Sistema linguistico mentale: esso può essere definito come la capacità di formulare enunciati corretti in una data lingua, e corrisponde dunque alla compétence saussuriana. Come tale essa consiste, in sintesi, dall'insieme del vocabolario di una data lingua [importante aggiunta, ma forse da glissare: in un dato testo!] e dalle regole grammaticali. L'input consiste nel messaggio (il significato) che si vuole esprimere. L'output è l'enunciato mentale, indipendetemente da ogni manifestazione fisica, materiale, cioè l'invariante che sottosta alle diverse materializzazioni (grafiche o foniche).
Il sistema grafico mentale è il procedimento per cui un enunciato mentale (che diventa dunque in questo caso l'input) viene trasformato in una serie di grafemi (output). Come vedremo sotto, i grafemi non sono ancora i glifi, e nello stesso tempo non sono nemmeno le lettere, che compongono l'enunciato mentale. Queste ultime sono piuttosto elementi che si avvicinano agli elementi fonetici (dunque identificabili come elementi a sé p.es. grazie alla constatazione della differenza lettera/grafia in «che» o in «ca»), ma non coincidono con gli elementi fonetici, in quanto essi sono sottoposti alle variazioni determinate da forme idiomatiche di pronuncia, involontarie rispetto all'invariante delle lettere astratte. I grafemi sono le entità astratte invarianti, rispetto ai glifi. La competenza interna del sistema grafico mentale consiste nella serie dei grafemi (grafemi astratti, o secondo la nomenclatura di Segre significati grafici) e dalle regole di corrispondenza fra grafemi e lettere.
Il sistema grafico materiale è il procedimento per cui la serie di grafemi che compongono un determinato testo (input) diventa una serie di glifi composti su una determinata superficie scrittoria (output). È questo il momento delicato della vera e propria materializzazione del testo, e dunque comprenderà una serie di passaggi mentali (come nei casi precedenti), ma anche una serie di esecuzioni su elementi materiali, che tuttavia noi non prenderemo in considerazione qui, perché banali. Perciò sintetizzeremo la competenza come l'insieme dei glifi scelti come appropriati in un determinato momento storico, l'insieme delle regole di corrispondenza fra glifi e grafemi astratti, e la capacità di modificare opportunamente il materiale scrittorio affinché esso assuma l'apparenza voluta. Il materiale scrittorio è a sua volta un sistema, di cui p.es. si occupano i codicologi.
Una integrazione molto importante è relativa all'input: infatti a quanto abbiamo detto occorre aggiungere di nuovo il messaggio, perché esso detterà alcuni dei criteri di composizione dei glifi sulla superficie scrittoria. Questo oltretutto mostra come il modello a sistemi sia l'unico capace (a differenza di un modello gerarchico) di dar conto delle complicate relazioni tra i vari elementi che concorrono a formare il testo.
Se dopo quanto si è detto si rimane convinti che ogni testo come appare in una delle sue manifestazioni grafiche è diverso da quelli delle altre manifestazioni, cioè che non esiste in realtà l'invariante astratta, unificatrice delle varianti materiali, il lavoro ecdotico viene radicalmente negato, nel senso che la pura comparazione delle sequenze di grafemi non può portare ad alcuna conclusione valida. Dunque qui si abbraccia l'ipotesi che effettivamente esistano delle invarianti astratte alla base di varianti concrete.
La sfida è quella di provare che è possibile con i mezzi informatici produrre un modello secondo la teoria dei sistemi. Questo è abbastanza semplice quando si tratta di costruire un testo originale, perché in questo caso si tratta semplicemente di adeguare le varie competenze (cf. sopra) identificate per ciascuno dei (sotto-)sistemi che compongono il sistema testo alle competenze dell'autore. In altre parole, l'autore deve adeguare le competenze richieste dalle componenti del sistema testo alla propria competenza e viceversa.
Ma venendo alle specifiche esigenze della filologia, occorre scindere le operazioni in due momenti: si tratta prima di tutto di riconoscere gli elementi del sistema testo in ciascuno dei testimoni del testo scelti per giungere alla sua ricostruzione, e quindi di produrre un sistema testo che dia conto di quella ricostruzione. I sistemi vanno allora usati in un primo momento, potremmo dire, all'incontrario, cioè partendo dall'output e cercando di risalire all'input e alle competenze. Questo lavoro verrà compiuto non solo in base alla presa d'atto dei prodotti del sistema testo, ma anche in base a tutte le conoscenze storiche (in senso molto lato) disponibili per lo studioso. In tal modo verrà ricucita quella discrasia fra filologia come disciplina storico-culturale e filologia come ecdotica, cioè disciplina in certo senso tecnica, che ha suscitato l'insoddisfazione di tanti studiosi (cultori) dell'ecdotica.
Diremo allora che anche un manoscritto può essere visto come uno dei sistemi che compongono il sistema testo. Esso a sua volta si compone del sistema supporto e del sistema scrittura. Si deve osservare che il sistema scrittura deve essere descritto (modellato) in base ai significanti glifici (non grafematici), cioè attraverso una interpretazione, in particolare l'interpretazione dei singoli glifi e l'interpretazione della loro collocazione spaziale. La pura presa d'atto di queste due componenti (segnalazione del puro stato fisico) non può essere fatta a causa dell'infinità ed inesattezza degli elementi materiali da prendere o non prendere in considerazione, per cui l'unico modello possibile per descrivere il sistema glifico senza interpretazione è quello analogico della fotografia, o altro similare, mentre quelli che possono servire in ambito automatico sono i modelli discreti o digitali.
Si comprende a questo punto che il passo fondamentale è quello di costruire un modello per ciascun manoscritto, cioè per ciascun testo identificato in un dato manoscritto, secondo l'intuizione di Segre dei diasistemi; e poi ideare un procedimento di confronto dei modelli, ed infine un procedimento di espressione del modello di testo stabilito. Questo è l'unico modo di ottenere risultati significativi in ambiente informatico.
Infatti si otterrà così un modello di testo molto flessibile e tendente alla completezza dei suoi elementi, cioè un modello di testo nel quale enunciato linguistico, grafia, organizzazione della pagina, etc. mantengono la propria individualità ed i multiformi rapporti reciproci, che si vengono a perdere con un utilizzazione «ingenua» dell'ambiente informatico.
È evidente che si possono in questa sede dare solo accenni elementari della realizzazione pratica di tale modello. Quello soprattutto che si dovrà dire è che esso si basa su un principio fondamentale, quello secondo cui il sistema della codifica è il risultato dello studio del testo, e non è ad esso preliminare. Da questo principio discendono tre conseguenze pragmatiche:
(a) L'attenzione diretta al sistema dei bit prima e invece che alla loro manipolazione per mezzo di qualsiasi software, e dunque l'utilizzazione delle serie di bit ben distinta dagli attuali standard di codifica alfabetica, ivi compreso (direi soprattutto compreso) il famigerato (in questo contesto) codice ASCII.
(b) L'utilizzazione integrale di un linguaggio di mark-up (in questo caso SGML nel suo aspetto puramente formale va benissimo) tenendo presente che la relativa DTD, cioè la dichiarazione della struttura del testo, deve rappresentare il risultato dello studio dei singoli manoscritti, e dunque non può mai essere data a priori (come avviene p.es. nell'altrettanto famigerato standard TEI), ma deve essere costruita sulla base dell'analisi del singolo manoscritto, e poi sulla base delle esigenze della rappresentazione del testo ricostruito.
(c) Occorre dare assoluta priorità all'analisi del testo, sia manoscritto sia a stampa, e alla costruzione astratta dei relativi modelli, prima del passaggio ai bit (e tanto più all'uso del software).
Rimane da specificare su quali basi sono fondate le convinzioni sopra esposte. Infatti è evidente che non esiste (ancora) una piattaforma comune, teorica e sperimentale, in questo settore. Tuttavia i molteplici tentativi fatti insegnano, a mio avviso, molte cose, soprattutto con la negatività dei loro risultati.
Prima di tutto, gli esperimenti di procedure automatiche di collatio e di costruzione di uno stemma, mostrano che il vero nodo della questione sta nel concetto stesso di variante[nota:], e che una macchina che
Cf. su questo le acute pagine di Ghislaine VIRÉ, Informatique et classement des manuscrits. Essai méthodologique sur le de astronomia d'Hygin. (Sources et Instruments, 8), Bruxelles, 1986.gestisca pure sequenze di simboli di grafemi non può dare alcun risultato significativo. Su questo le osservazioni di Segre al Congresso di Parigi rimangono fondamentali[nota:].
Ristampate in: Semiotica filologica. Testo e modelli culturali, Torino, Einaudi, 1979, p. 64-69.
È per altro verso assai significativo il trionfo dello standard sgml, che fornisce il metodo corretto di codifica (mark up); esso è tuttavia puramente formale, cioè non dà alcuna indicazione concreta sulla sua applicazione, e qui di nuovo l'esperienza sostanzialmente negativa del sistema tei insegna che le procedure di codifica devono essere precedute dall'analisi storica del singolo testo in questione, secondo i parametri da noi indicati. I risultati di questa analisi storica non possono essere sostituiti da elucubrazioni aprioristiche, e tanto meno se basate sullo standard ascii.
Le considerazioni metodologiche che sono state proposte difficilmente verranno accettate, se non se ne proporranno realizzazioni pratiche. Esse saranno lente a venire, perché purtroppo si dovrà passare attraverso tutta la serie di tentativi di scavalcare i problemi che esse propongono. Potremo comunque ricordare due iniziative che procedono sulla base dei principi che abbiamo delineato. La prima si svolge nell'ambito del Centro Lincei Interdisciplinare, è chiamata: ARTEM (ARchivio di TEsti italiani Multimediali), e si propone: (a) la costituzione di un deposito di testi in lingua italiana (in seguito espandibile a quelle classiche e antiche, eventualmente orientali) su supporto elettronico, scelti in base a criteri rigorosamente filologici e scientifici, con codifica standard al massimo livello sia di rappresentazione del testo, sia di analisi linguistica. (b) Ampliamento del deposito a testi situati altrove, raggiungibili in rete, aventi le medesime caratteristiche di rigore e standardizzazione. (c) Indicizzazione ed accesso al deposito, e catalogazione di testi disponibili sotto forma diversa di codifica, previa verifica e giudizio di qualità. (d) Sperimentazione di inserzione di codifiche ad alto livello e di conseguenti analisi testuali sofisticate.
La seconda iniziativa è l'edizione critica multimediale dello Zibaldone del Boccaccio, promossa e diretta da Raul Mordenti. Essa può essere consultata al sito internet «http://rmcisadu.let.uniroma1.it/~boccaccio».
Ho detto all'inizio che il cammino da percorrere è appena cominciato, e spero di averlo mostrato nel corso di questa comunicazione. Ho anche cercato di mostrarne una possibile direzione, con la convinzione che le idee esposte meritino una discussione, e comunque non possano essere ignorate col pretesto che si vogliono risultati pratici semplici ed immediati. Almeno non in ambito filologico: ricorderò sommessamente che lo sforzo di produrre un'edizione critica, quale che sia il sistema adottato, è quanto di meno immediato e pratico si possa compiere nei riguardi della diffusione di un testo, eppure non si è ancora trovato niente di meglio per avere fra le mani dei testi decenti.