LE TRADUZIONI DAL GRECO E LO SVILUPPO DELLA LETTERATURA COPTA 1. Introduzione. Mi e' gradito anzitutto ringraziare gli organizzatori di questo Congresso per il cordiale invito a parteciparvi. Il tema che presento, che pure viene quasi spontaneo per me dato il tema generale proposto, e' particolarmente difficile sia per il carattere delle traduzioni copte (e soprattutto della loro tradizione manoscritta), sia per la scarsita' di informazioni (ma anche di indagini) sullo sviluppo della letteratura copta. In realta' il nostro e' un tentativo di sfruttare quello che e' possibile sapere delle traduzioni copte, per approfondire il tema dello sviluppo della letteratura copta. Ci si perdonera' dunque se approfittiamo del titolo di questo Congresso ("Arbeits"-Konferenz) per presentare delle ipotesi di "lavoro", piuttosto che dei risultati sufficientemente sicuri. Alcune di queste ipotesi sono, oltretutto, volutamente provocatorie. Ci auguriamo che la discussione sul contributo che presentiamo (sia nell'ambito del Congresso, sia in futuro) ne sia almeno stimolata. 2. Gli inizi. L'identificazione delle prime traduzioni eseguite in copto sembra sicura: si tratta dei testi biblici e di alcuni testi che chiameremo per brevita' "gnostici" (secondo la consuetudine; sono quelli del fondo di Nag Hammadi ed altri ad essi comparabili). Altrettanto sicuro sembra che le traduzioni siano i primi prodotti della letteratura copta. Pertanto i problemi fondamentali che pone questo periodo iniziale sono due: lo scopo che i traduttori si ponevano, e l'ambiente dal quale essi provenivano. Per quanto riguarda lo scopo, occorre tener presente soprattutto che gli Egiziani, iniziando una letteratura in lingua copta, riprendevano una attivita' letteraria dopo alcuni secoli di silenzio <1>, e non e' del tutto logico che l'abbiano fatto solo per eseguire delle traduzioni. Per la maggior parte degli studiosi <2>, le circostanze storiche di quel periodo (ca. II secolo d.C.) bastano a risolvere il problema. La cultura greca aveva dominato il Paese per parecchi secoli, insieme col governo e con l'amministrazione. Quando, ad un certo momento, parecchia gente di ogni classe si era volta ad una nuova religione, quella Cristiana, si era reso necessario diffondere la conoscenza delle Sacre Scritture e di altri testi di rilevante importanza fra i credenti che ignoravano il greco, cioe' la lingua in cui quei testi erano giunti in Egitto. Ma questa spiegazione non ci convince, soprattutto per due motivi. (1) L'influsso greco sulla lingua copta era cosi' forte, specialmente sul vocabolario, ma anche sulla sintassi <3>, che non ci sembra possibile che per un egiziano fosse molto piu' facile leggere un testo copto piuttosto che un testo greco. (2) L'influsso culturale greco era tale, che ci sembra piu' appropriato parlare di un ambiente quasi perfettamente bilingue nel quale e' nato il copto, ed in questo ambiente si potevano leggere e diffondere quasi indifferentemente testi greci e testi copti. Soprattutto, a nostro avviso, il contesto sociale in cui avveniva tutto cio' era quello medio-alto, e non anche quello dei piu' umili contadini, per i quali la religione non poteva essere questione anche culturale. In realta' la soluzione di questi due problemi ci e' piuttosto indifferente. Quello che ci preme e' che essa non sia data per scontata, e noi tenteremo di dare un contributo originale effettuando tentativi in altre direzioni. Tenteremo infatti di distinguere le traduzioni secondo la loro cronologia; di trovare i differenti fini e caratteri delle traduzioni nei differenti periodi storici; finalmente di stabilire le possibili relazioni fra lo sviluppo della letteratura di traduzione e quella originale. La cronologia delle traduzioni e' soprattutto un problema delicato, perche' non abbiamo alcuna informazione diretta sui dotti e sulle scuole che le hanno eseguite <4>. Quanto ad informazioni indirette, noi possiamo dedurle da un solo elemento obiettivo: i manoscritti e la loro datazione. E' evidente che quanto si puo' dedurre dalla datazione dei manoscritti e dal loro carattere e' assai opinabile, nei riguardi del contenuto di quei manoscritti. Ma non avendo nulla di meglio, e' di qui che deve partire una seria ricerca. E' noto come gia' il grande KAHLE <5> si fosse mosso su questa via; e recentemente un importante contributo e' stato dato dalle osservazioni importantissimi del ROBERTS <6>. Queste ultime vorremmo ricordare, e anche discutere, per la parte che ci interessa, perche' riteniamo che esse rimarranno fondamentali per parecchio tempo. Il fine di ROBERTS e' quello di verificare (e in ultima analisi provare errata) l'ipotesi che la Chiesa egiziana fosse di carattere gnostico nei primi tre secoli, e che di conseguenza "gli gnostici abbiano anticipato i cattolici nel loro appello ai nativi egiziani". Egli da' peraltro per scontato che le traduzioni copte fossero fatte per chi ignorava il greco, e dunque basta la constatazione dell'esistenza di cristiani che ignoravano il greco per giustificarne la produzione. Egli da' anche per scontato che la prima attivita' in lingua copta dovesse consistere di traduzioni, e quindi elude il problema del perche' cio' sia avvenuto. Ma al di la' di questi pregiudizi (sui quali torneremo in seguito), e al di la' di alcune imprecisioni del ROBERTS (il quale trascura i manoscritti copti bodmeriani del III-IV sec. e confonde il dialetto in cui sono scritti i manoscritti da Nag Hammadi) le opinioni del ROBERTS sono fondamentalmente sane, e due conclusioni soprattutto ci interessano. Egli dimostra che, contrariamente ad una opinione molto diffusa, la letteratura copta non e' nata in ambiente gnostico. Inoltre, che e' possibile che vi fossero centri di cultura gnostica (egli ne individua p.es. due, uno presso Achmim, l'altro presso Nag Hammadi) in contrasto con centri "ortodossi" (p.es. Ossirinco). Noi non siamo d'accordo con le scelte geografiche di ROBERTS, che sembrano derivate soprattutto dalla confusione circa il dialetto dei testi da Nag Hammadi, ma l'idea di differenti centri di produzione letteraria e' basilare per approfondire il problema che trattiamo. Aggiungeremo infatti la seguente notazione. Mentre la produzione "ortodossa" (le traduzioni bibliche testimoniate dalla maggioranza dei codici antichi, e certe omelie di tipo pasquale) sembra assai accurata sotto tutti i rispetti: lingua, ortografia, costruzione materiale, etc.; e cio' in tutti i dialetti dal saidico al boairico, con poche eccezioni; la produzione "gnostica" e' nel complesso molto meno "professionistica", con frequenti contraddizioni nell'ortografia, note personali degli scribi all'interno del testo, titolature irregolari, etc. Anche e soprattutto la tecnica stessa di traduzione, sia per la lingua in se', sia per i criteri sintattici e semantici coi quali e' resoil pensiero dell'esemplare, evidenzia una grossa differenza fra le due categorie di traduzioni, come ha sperimentato ogni traduttore dei testi da Nag Hammadi. Questo puo' essere spiegato in due modi. (1) I circoli "ortodossi" sono stati i creatori del copto (come lingua e in qualche modo come cultura), e gli "gnostici" ne hanno seguito l'esempio come potevano, senza troppo curarsi di tutte le regole molto specialistiche che i primi avevano escogitato per scrivere chiaramente e con precisione. (2) Gli "gnostici" hanno fatto i primi passi, necessariamente imperfetti, e gli "ortodossi" hanno consolidato e perfezionato le procedure. C'e' da dire che il contrasto tra testi ortodossi e gnsticizzanti, e di conseguenza fra gli eventuali rispettivi centri di produzione, e' derivato da quanto e' possibile notare dai manoscritti e dai relativi testi che costituiscono le testimonianze in nostro possesso. Ma molti studiosi stanno chiarendo recentemente che questo contrasto, oltre a non essere del tutto reale, non puo' costituire la prova per distinguere materialmente fra differenti centri "fisici" di produzione. E' oggi evidente, in effetti, che alcuni centri, sinora considerati come la roccaforte dell'ortodossia, non lo sono stati fin dall'inizio (si pensa soprattutto ai monasteri pacomiani), ed ivi possono essere convissuti, almeno fino all'inizio del IV secolo, testi di vario genere. Tuttavia ci sembra ugualmente lecita la distinzione culturale, nel senso che se anche circoli di diversa tendenza possono aver convissuto in un medesimo ambiente, non per questo essi cessano di essere sostanzialmente diversi per tendenza e forse per origini culturali l'uno dall'altro. La sola conclusione che si puo' trarre dallo stato attuale delle nostre conoscenze e' che siamo ancora lontani dal poter risolvere i molteplici problemi che le prime traduzioni copte pongono. Ma e' per lo meno molto importante rendersi conto appunto della complessita' di questi problemi e della situazione culturale dalla quale essi derivano. Se si tiene in mente la varieta' di gruppi, dottrine ed attivita' religiose ed organizzative da cui nasce la prima letteratura copta, e si guarda alle varie testimonianze con animo sgombro da pregiudizi, la ricerca risultera' probabilmente piu' fruttuosa di quanto lo e' stata fino adesso. 3. Gli apocrifi. Muovendoci sulla linea sopra esposta, prenderemo ora in considerazione un gruppo di testi che da questo punto di vista e' stato finora trascurato, ovvero reso troppo ampio e generico per essere utile: i cosiddetti Apocrifi dell'Antico e Nuovo Testamento <7>. Crediamo che questi testi possano essere assai istruttivi, se si accetta che la datazione dei manoscritti possa dare qualche indicazione circa la data delle traduzione <8>. Infatti alcuni apocrifi sono noti solo da manoscritti antichi (IV-V sec.), mentre la maggior parte lo sono da manoscritti a partire dall'VIII sec. in avanti. Ci sembra significativo il fatto che proprio gli apocrifi che si trovano nei manoscritti antichi siano poi scomparsi nella tradizione posteriore: questo farebbe pensare ad una selezione operata verso il VI sec. Inoltre, mentre gli apocrifi dei manoscritti tardivi sono in linea con la "normale" produzione patristica tradotta a partire dal V secolo, e sono stati probabilmente tradotti insieme con essa, gli altri presentano caratteri diversi. Fra gli apocrifi veterotestmentari di tradizione copta antica, ne abbiamo due (Apocalypsis Eliae; Visio Isaiae) il cui originale proviene da un ambiente misto di elementi giudaici e cristiani, in presenza di suggestioni nazionali egiziane. Questo tipo di ambiente sembra essere appunto quello nel quale e' nata la letteratura copta, e cio' spiegherebbe la rapidita' con cui quei testi sono stati tradotti. D'altra parte, gli apocrifi neotestamentari sembrano essere stati importati dall'Asia Minore (Acta Pauli, Epistula Apostolorum, Acta Petri), indicando cosi' una connessione con quell'ambiente. Non, si noti, una connessione dell'Asia Minore col Cristianesimo alessandrino, che sarebbe preclusa dalla nota rivalita' dottrinale (soprattutto da Origene in avanti), ma con alcuni centri della Valle del Nilo. Prima di approfondire questo aspetto della questione, occorrera' esaminare altre possibili traduzioni antiche: quelle omiletiche. 4. Omelie "antiche". L'operazione di dividere il materiale omiletico tradotto nel III-IV secolo da quello tradotto piu' tardi e' soggetta alle stesse obiezioni esposte sopra (p. *2 e *5). Tuttavia siamo qui per fortuna su un terreno piu' sicuro. Prima di tutto, la maggior parte delle omelie tradotte in copto, sono state scritte in greco da autori che non possono essere stati conosciuti in Egitto prima del 350 circa: i due Gregori, Basilio, Giovanni Crisostomo, Atanasio, etc. In secondo luogo, il manoscritto della piu' importante omelia precedente a quel periodo e' anche copiata, in traduzione copta, in un manoscritto del III o IV secolo, il che pone un limite alla data della traduzione. Cosi' noi dobbiamo solo ammettere due opinioni ipotetiche, ma ben fondate, per condurre la nostra analisi. (1) Le omelie attribuite ad autori come Evodio di Roma (o meglio Antiochia), Pietro di Alessandria, ed altri simili, sono pseudepigrafi tardivi (probabilmente del VII sec.) <9>. (2) Una coppia di testi, uno sicuramente antico nell'originale (Melitone De anima et corpore), l'altro probabilmente antico (Ps. Basilio De templo Salomonis), sono stati anche tradotti anticamente. Questo dovrebbe essere provato dal fatto che la maggior parte del loro contenuto, come vedremo, non puo' aver avuto interesse in Egitto dopo il IV secolo. Ammesso cio', abbiamo tre testi da esaminare. Due di essi sono di Melitone di Sardi: De Pascha, De anima et corpore. Il terzo e' falsamente attribuito a Basilio di Cesarea: De templo Salomonis. Melitone De Pascha e' troppo noto per essere riassunto qui. Quello che ci interessa e' il fatto che il suo testo sembra essere divenuto presto molto raro nella tradizione patristica piu' autorevole, tanto che era ritenuto perduto fino a poco tempo fa, quando ne furono scoperte tre papiri, tutti e tre molto antichi, in Egitto. Due contengono la versione copta (uno e' solo un frammento), uno la versione greca. Melitone De anima et corpore e' perduto come omelia a se' nella tradizione greca principale, salvo che per alcuni excerpta inclusi in altre omelie dall'antichita'. Invece ne abbiamo il testo completo (sia pure in redazioni differenti) in copto (sotto il nome di Atanasio); in siriaco (sotto il nome di Alessandro di Alessandria); in georgiano (sotto il nome di ambedue). Non entriamo nel merito delle differenze redazionali. Possiamo dire che il copto sembra dare l'idea piu' completa del testo originale, che era diviso in due parti. La seconda parte e' in certo senso la piu' ovvia, e parla dell'incarnazione e della passione del Salvatore, in termini molto simili a quelli del De Pascha. La prima parte, invece, contiene un notevole brano teologico sul problema della relazione fra Anima e Corpo, che in ogni caso e' molto lontano da una teologia che potesse essere accettabile per un seguace della scuola alessandrina. Perche' in effetti, dal nostro punto di vista, i problemi che pongono queste omelie di Melitone tradotte in copto derivano proprio dalla diffusione in Egitto di una delle meggiori autorita' della scuola teologica "asiatica", per la quale la scuola alessandrina non nascose mai il proprio disprezzo, a causa soprattutto della sua esegesi ingenua, semplicistica, e talora pericolosamente materialistica. Sono questi dei problemi che i commentatori hanno in genere trascurato, poiche' concentrano la loro attenzione su Melitone stesso e sui suoi tempi. Ad ogni modo essi si ripetono per la terza omelia in questione, lo Ps. Basilio, la quale e' un'esegesi del brano biblico relativo alla costruzione del Tempio di Salomone, interpretato come un'allusione alla creazione, prima, del mondo, e poi dell'uomo. Il testo comincia con un interessante pezzo di teologia "del silenzio", il silenzio nel quale il mondo fu creato, in contrasto col rumore che accompagnera' la sua distruzione. Una tale teologia del silenzio sembra non avere paralleli, dopo i brani di Ignazio di Antiochia, Eph. 18 e Mag. 8. Quindi il tempio e' preso come simbolo dell'uomo, creato direttamente da Dio; quindi si parla del peccato, cha ha causto (o causera') la distruzione sia del mondo, sia dell'uomo, ed in particolare la rovina dei Giudei. Finalmente si accenna alla redenzione di Cristo, attraverso la quale il corpo dell'uomo e' di nuovo purificato. E' soprattutto la teologia del silenzio che lega questa omelia alla linea "asiatica" che va da Ignazio a Marcello di Ancira, il quale fu addirittura un forte oppositore della linea alessandrina <10>. 5. Antagonismi dottrinali in Egitto. Da quanto abbiamo esposto nei due paragrafi precedenti, possiamo concludere che vi furono due influssi principali (sul terreno di base della cultura cristiana) all'origine della letteratura copta, una interna all'Egitto, derivata dalla cultura giudaica; una proveniente dall'esterno, identificabile con la cultura asiatica cristiana, con la sua mistura di encratismo, gnosticismo encratitico ed esegesi "materialistica". L'influenza giudaica non solleva problemi. Essa e' gia' stata riconosciuta da tempo, anche se non dallo stesso nostro punto di vista, ed addirittura si e' supposto che fosse il principale elemento nella nascita della letteratura copta <11>. Diverso e' il caso dell'influenza asiatica, che contraddice la teoria secondo la quale il cristianesimo egiziano deriva direttamente dal cristianesimo alessandrino. Di nuovo invece occorre ammettere un quadro piu' complesso, nel quale una molteplicita' di elementi diversi stabilirono fra loro varie forme di relazione. L'elemento nuovo, quello dell'influenza asiatica, pone il problema di cercare quale fosse l'ambiente egiziano che l'ha accettata e sembra averne fatto la sua caratteristica prevalente. Per trovare questo ambiente, occorre a nostro avviso rivolgersi al movimento monastico. Tradizionalmente si divide questo ambiente in due regioni geografica, quella settentrionale e quella meridionale, caratterizzate rispettivamente dal monachesimo anacoretico e cenobitico. A parte la probabile inesattezza di una tale caratterizzazione, che qui poco interessa, il monachesimo settentrionale sembra fuori gioco, in parte per un suo disinteresse per la letteratura (p. es. Antonio), in parte perche' sembra essersi espresso essenzialmente in lingua greca. Percio' le traduzioni copte di questo periodo sono generalmente attribuite al monachesimo di tipo pacomiano. Anche questo pero' non risolve il nostro problema. Non ci e' possibile qui entrare in dettagli; diremo solo che le nostre indagini <12> ci hanno condotto ad affermare che, sebbene in effetti Pacomio sia il primo (o uno dei primi) ad aver adottato la lingua copta, egli ed i suoi successori non erano interessati, anzi si opponevano, alla cultura patristica greca del loro periodo, con i suoi modelli retorici greci, ed e' quindi assai improbabile che abbiano fatto o fatto fare delle traduzioni. Oltre a cio', le lettere di Pacomio (con il loro linguaggio mistico, mostrano almeno una certa tendenza verso qualche genere di gnosticismo o per lo meno di cultura gnosticizzante, e questo porta ad escludere un atteggiamento amichevole verso l'esegesi asiatica. Esistono invece altri testi, dei quali anche ci siamo occupati piu' ampiamente altrove <13>, relativi alla vita di Aphu di Ossirinco, di Apollo di Bauit (presso Shmun), e le opere di Paolo di Tamma (tutti nel medio Egitto), che possono risolvere il nostro problema. Essi infatti delineano l'ambiente monastico del Medio Egitto come il possibile ricettacolo della teologia asiatica, con una esegesi tendenzialmente letterale ed un materialismo spinto fino all'antropomorfismo. E' in questo ambiente che si possono collocare le prime traduzioni di testi patristici greci (apocrifi ed omiletici), scelti fra quelli anti-gnostici e di esegesi letterale. Questo ambiente e' poco noto presso la stessa tradizione copta, perche' probabilmente fu presto rimpiazzato dal nuovo centro culturale fondato e fortemente condotto da Shenute, che unifico' le tendenze anti-gnostiche con quelle alessandrine (almeno per la parte piu' "ortodossa"). 6. Shenute. Con questa operazione, di tale importanza da determinare la svolta decisiva della letteratura e della cultura copta, Shenute otteneva il doppio risultato di mantenere una certa tradizione culturale del monachesimo egiziano, da un lato, ed una certa tradizione culturale della scuola teologica alessandrina, dall'altro, andando cosi' incontro sia ai desideri del Patriarcato (che specialmente da Teofilo in avanti non tollerera' iniziative singole nel proprio dominio) sia ai gusti del cristianesimo della Valle del Nilo. Dal punto di vista letterario, Shenute e' anche di capitale importanza per la sua accettazione della cultura letteraria greca e della relativa retorica. Cio' appare chiaramente dall'impianto e dallo stile delle suo opere originali, al di la' degli ovvii personalismi che vi si trovano, ed hanno fatto spesso trascurare gli altri fattori sui quali invece noi poniamo l'accento. Egli si occupo' certo anche dell'organizzazione della traduzione su vasta scala dei testi patristici greci del IV e V secolo, anche se di cio' non abbiamo prove obiettive. E sara' da menzionare a questo punto anche l'attivita' della preparazione delle traduzioni bibliche "standardizzate", che dal VI secolo in avanti soppianteranno le precedenti redazioni piu' o meno individuali od accettate ufficialmente dalla Chiesa <14>. Sara' necessario tuttavia attendere una nuova edizione che rimpiazzi quella di HORNER (pur con tutti i suoi pregi <15>), per avere un'idea piu' precisa di questo lavoro, soprattutto in base al confronto coi manoscritti del III, IV e V secolo recentemente venuti alla luce. Per il momento si puo' solo affermare che la standardizzazione del testo biblico, se non ebbe un grande influsso sulla storia delle letteratura in se', ne ebbe uno molto importante sulla lingua, perche' da questo periodo inizia quello che noi chiameremmo il copto (saidico) "classico". 7. Traduzioni omiletiche del periodo "classico". Sara' ora opportuno esaminare in dettaglio le traduzioni effettuate in questo periodo. Occorre prima di tutto fare una premessa di carattere generale. La parte della letteratura copta che consiste di testi attribuiti (nei titoli che si trovano nei manoscritti) a Padri della Chiesa del IV e V secolo, oppure di testi agiografici che sono dati per composti in quel periodo, e che dunque dovrebbero essere tutti traduzioni da originali greci, e' sempre stata la piu' imbarazzante da trattare da parte degli studiosi. Da un lato, essa sembra essere la quasi totalita' del materiale letterario in lingua copta" ed una letteratura fatta di traduzioni scoraggia a priori ogni studio letterario. D'altra parte, le attribuzioni d'autore fornite nei titoli dei manoscritti appaiono per una buona meta' false, e per un altro quarto assai problematiche. Affrontare una simile situazione e' certo assai spinoso. Noi siamo in realta' del parere che quasi tutte le opere falsamente attribuite, cioe' gli pseudepigrafi, non solo non appartengano agli autori designati dal titolo, ma non siano affatto traduzioni ed appartengano ad un periodo molto posteriore a quello in cui erano vissuti i supposti autori. Non e' possibile tuttavia trattare qui questa materia, e percio' ci limiteremo a rimandare una volta di piu' ad altri nostri contributi <16>. Quello che ora importa aver presente, a questo riguardo, e' che i titoli che appaiono nei manoscritti devono essere mantenuti distinti dai testi ai quali sono riferiti, e vanno studiati di volta in volta come problema a se'. Da un punto di vista metodologico, quei titoli non possono essere invocati, non dico come prova, ma nemmeno come base di ipotesi per l'attribuzione di un testo. L'eventuale coincidenza fra l'autore reale di un testo e quello a cui il testo e' attribuito nel manoscritto o nei manoscritti e' da ritenere puramente casuale. Unica grande eccezione e' quella di Shenute, la cui tradizione manoscritta e' pero' molto particolare, tanto che in effetti la parte della sua opera che e' tramandata al di fuori del Monastero Bianco e' soggetta a parecchi dubbi. Quello dunque che occorre valutare e' la situazione di fatto che i testi stessi, a prescindere dalle loro titolature, presentano, rispetto a quanto sappiamo della letteratura patristica greca. In base a cio' noi abbiamo compiuto un lavoro di separazione dei testi tardivi ed originali copti del VII-VIII secolo, ed ora tratteremo solo di quei testi che corrispondono ad un originale patristico greco del IV-VI secolo a noi noto, ovvero appaiono essere stati tradotti dal greco in questa stessa epoca (IV-V secolo), anche se non se ne conosce l'originale. Nell'uno e nell'altro caso l'autore a cui sono attribuiti nella tradizione copta puo' essere quello giusto, ovvero non corrispondere alla realta'. In molti casi, peraltro, noto o meno che sia l'originale greco, molti testi sono destinati a rimanere irrimediabilmente anonimi: in modo particolare quelli agiografici. Non e' certo il caso di dare in questa sede l'elenco completo delle traduzioni di cui siamo a conoscenza. Desideriamo pero' darne almeno un'idea sintetica, prendendo in considerazione gli autori attestati (in ordine alfabetico) e menzionando le opere principali tradotte. Di ATANASIO di Alessandria furono tradotte le Epistulae Festales, la Vita Antonii, le Expositiones in Psalmos. Le molte omelie a lui attribuite sono sicuramente spurie. Le omelie di BASILIO di Cesarea godettero invece di grande fama, se ne troviamo un vero Corpus in almeno un codice, e sparsamente: De misericordia et iudicio (CG2929)" De ieiunio (CG2845)" De baptismo (CG2896)" Constitutiones asceticae (CG2895). EFREM Siro dovette essere particolarmente amato dai monaci. Troviamo: Sermo asceticus (CG3909)" De transfiguratione (CG3939)" De peccatrice (CG3952)" De Antichristo (CG3946); In Ioseph patr. (CG3938). GIOVANNI Crisostomo e' l'autore piu' rappresentato. Troviamo Ad Stelechium (CG4309)" Ad Theodorum lapsum (CG4305)" Excerpta da In epist. ad Hebr. (CG4440)" De Davide et Saul III (CG4412.3)" In Petrum et Heliam (CG4513)" De Chananaea (CG4529)" De Nativitate (CG4657)" In Mt. 12.14 (CG4640)" De Pentecoste (CG4536). E' poi da menzionare un codice boairico (IX sec.) con una ricca raccolta di altre omelie" ed altre omelie si trovano sparsamente in traduzione boairica. Di GREGORIO di Nissa sono testimoniati: Vita Gregorii Thaumaturgi (CG3184)" De anima et resurrectione (CG3149)" In Ecclesiasten homiliae VIII (CG3157)" De deitate Filii et Spiritus Sancti (CG3192). Di PROCLO di Cizico: De Nativitate (CG5800)" De Pascha (CG5812); De dogmate incarnationis (CG5822). Di SEVERO di Antiochia: In Romanum (CG7035.1)" In Mariam V. (CG7035.14)" De Ascensione (CG7035.24)" In Leontium (CG7035.27)" De epiphania (CG7035.103)" Epistula ad Theognostum (CG7070.9)" Epistula ad Anastasiam (CG7070.12)" Epistula ad Soterichum (CG7070.13). Menzioneremo in fondo, perche' meno attestati: CIRILLO di Alessandria (un paio di omelie di cui una negli atti di Efeso)" CIRILLO di Gerusalemme (parte di una Catechesi)" EPIFANIO di Salamina (Ancoratus, de gemmis)" SEVERIANO di Gabala (un paio di omelie). 8. Caratteristiche. Il lavoro di traduzione compiuto in copto e' stato svolto secondo criteri, ed in condizioni tali, che lo rendono assai diverso da quello compiuto per le analoghe letterature dell'Oriente cristiano. Infatti mentre in siriaco, armeno e georgiano, insieme a traduzioni di singole omelie (di solito ad uso liturgico) si trovano traduzioni sistematiche dei corpora degli autori piu' importanti, e spesso conosciamo le personalita' che hanno fatto le traduzioni o le hanno ispirate e suggerite, in copto nessun testo ci parla di tali personalita' (che pure devono esserci state, e forse sono fra quelle a noi note, ma non sotto questo aspetto), e la scelta dei testi obbedisce a criteri che dal nostro punto di vista e' assai deludente. Invano si cercherebbero opere fondamentali come la traduzione armena di Ireneo o quella siriaca di Atanasio" per tacere del fatto che tutta la produzione piu' bella o anche quella che si puo' definire la piu' "normale" dei Padri cappadoci, di Cirillo o di qualunque altro grande Padre, che e' presente in siriaco, armeno e georgiano, e' quasi del tutto assente in copto <18>. Questa constatazione non deve pero' suggerire una svalutazione della qualita' della cultura dei copti, per il motivo molto semplice (se si accetta quanto proponevamo sopra) che i copti in questo periodo partecipavano indifferentemente sia della cultura in lingua greca sia di quella in lingua copta. Come per le traduzioni bibliche, noi non crediamo che il fine unico delle traduzioni fosse quello di portare alcuni testi greci a livello di persone che non conoscevano il greco (anche se questo in qualche caso puo' essere stato uno dei fini). Noi crediamo che il fine piu' qualificante fosse quello di costruire un settore della letteratura spirituale in una lingua che gli egiziani potessero sentire personalmente ed intimamente propria, anche se essa rimaneva alquanto artificiale, e anche se, ove necessario, gli stessi lettori dei testi in copto potevano anche leggere testi in greco. Occorre dunque pensare ad una cultura e ad una situazione storica molto peculiari" e tenendo presente la documentazione che possiamo avere in mano, occorre dedurne tutto quanto ne puo' risultare, per caratterizzare e la cultura copta e le sue motivazioni storiche. Il lavoro di traduzione si svolse in una Chiesa egiziana divenuta ormai teologicamente piu' uniforme, e organizzata in maniera complessae perfezionata. Finite le dispute gnostiche e il pericolo della scissione meliziana e dell'eresia ariana, l'interesse si sposto' verso l'istituzione di una cultura e di una prassi utili al lento progresso di giorno in giorno della Chiesa egiziana della Valle del Nilo, che (soprattutto attraverso l'influsso di alcuni ambienti monastici) diventava sempre piu' "copta". Essa infatti acquistava via via quelle caratteristiche che la identificheranno spiritualmente nel periodo dopo Calcedonia, quando anche da un punto di vista organizzativo sara' staccata dal Cristianesimo "internazionale". I testi di cui parliamo non sono omogenei e presentano problemi assai varii. E' chiaro che, mentre disponiamo generalmente di notizie soddisfacenti sugli orginali greci, quando essi sono conosciuti, il lavoro dei traduttori copti e' avvolto nell'oscurita' piu' completa, nella quale si cerca di far luce coi pochi mezzi a disposizione. Per quanto riguarda la cronologia, per fissare anche approssimativamente l'epoca in cui questo lavoro venne compiuto per la massima parte, disponiamo spesso della guida di un termine post quem (la data dell'originale greco, che anche per i testi agiografici puo' essere spesso fissata con buona approssimazione) ma mai di uno ante quem, se non la data dei manoscritti, che per lo piu sono troppo tardivi. Del resto consideriamo le traduzioni successive al V secolo come eccezioni, e poniamo il periodo delle traduzioni fra V e VI secolo, per parecchi motivi. Prima di tutto, si puo' pensare che venissero eseguite le traduzioni di opere d'interesse attuale, e non di opere che potessero essere in qualche modo invecchiate (sui criteri di scelta torneremo in seguito). Da questo punto di vista e' significativo che gli autori tradotti siano compresi per lo piu' nell'arco di tempo compreso fra Atanasio e Cirillo, con punte secondo noi secondarie fino a Severo di Antiochia, Teodosio di Gerusalemme (sempre che quanto abbiamo in copto sia genuino e sia tradotto dal greco), Giovanni Digiunatore. Ci sembra di poter presumere, inoltre, che la cultura copta abbia avuto, in seguito a Calcedonia e in particolare in seguito ai tentativi falliti di riunificazione, che faremmo concludere con Giustiniano, una netta tendenza a separarsi dalla cultura greca "internazionale", che era come tale calcedonense. Questo si nota soprattutto guardando all'evoluzione che ha avuto presso la cultura copta la tradizione letteraria e storico-ecclesiastica nel periodo successivo. Produzioni come quelle dei testi "pleroforici" o dei "cicli omiletico- agiografici" <193/4 sembrano escludere una contemporanea opera di traduzione di testi greci autentici. Per quanto riguarda i motivi profondi che hanno spinto gli intellettuali copti a compiere il lavoro di traduzione, essi non sembrano essere stati di semplice divulgazione. In tal caso si dovrebbe presumere che avrebbero scelto i migliori esempi di dottrina e di retorica. Questo non e' accaduto, ed invece, il criterio di scelta, molto riduttivo, sembra essere stato quello di una precisa aderenza alle necessita' dell'ambiente egiziano, in particolar modo quello monastico, che cosi' poteva appropriarsi di alcuni testi, facendoli del tutto suoi, senza una particolare attenzione alla loro provenienza, ed alla pari con la coeva produzione spirituale e regolamentare che si stava sviluppando. La storia delle traduzioni in copto si inserisce nella storia della tradizione manoscritta in greco. E' quest'ultima una storia di per se' gia' molto complicata, e ben lontana dall'essere stata indagata quanto sarebbe necessario. Un recente importante contributo, se non volto a delineare le linee generali del problema, e' quello di GRIBOMONT <20>. Esso riunisce alcuni esempi riguardanti le vicende di alcune opere assai significative dei Padri piu' importanti, e nota in generale: Queste osservazioni sono preziose per il tema che stiamo trattando" ma occorre, per il copto, rifarsi a quella che deve essere stata la tradizione "minore" delle opere dei Padri, nello stesso ambito greco. Intendiamo quella tradizione che ha riunito in codici di tipo antologico opere destinate ad una diffusione vasta ma per un pubblico particolare, diremmo non intellettuale ma con interessi morali e pratici, sia pure non sprovvisto di qualche istruzione "filosofica" e della volonta' di conoscere qualche problema teologico. Questo tipo di tradizione e' probabilmente alla base del fenomeno frequentissimo degli pseudepigrafi, di cui e' vittima (come e' noto) soprattutto la tradizione di Giovanni Crisostomo. Esso e' dovuto a due fattori apparentemente contraddittorii ma in realta' tipicamente concomitanti: - la volonta' di attribuire ad autori piu' famosi opere che si voleva diffondere a dispetto della loro paternita' meno appetibile" - un certo disinteresse per la paternita' delle opere in confronto al loro contenuto. Non e' questa la sede per approfondire l'indagine sulla tradizione greca. Stando a quella copta, pensiamo che sia l'ambiente monastico (in particolare quello shenutiano, ma e' ancora presto per affermare cose del genere con sufficiente certezza) che deve essere considerato responsabile di quanto e' stato fatto. Infatti quasi tutti i testi trattano argomenti tipici della problematica spirituale del monachesimo, anche quando erano originariamente concepiti per un pubblico diverso. E' vero che tali temi non erano esclusivi del monachesimo" ma quello che importa in questo caso e' la quantita' assai minore di testi che trattino di argomenti non specificamente utili al monachesimo. Per quanto riguarda i criteri di scelta, un primo dato negativo, secondo noi evidente, e' che la scelta veniva fatta senza tener gran conto del nome dell'autore. Cio' risulta da due constatazioni principali: (1) Prima di tutto i testi cambiavano facilmente di attribuzione, in modo tale che talora puo' sembrare addirittura che circolassero in un primo tempo anonimi (almeno alcuni di essi) e successivamente si sia voluto trovare per loro un autore. Questo e' pensabile, per esempio, nei riguardi dell'omelia crisostomica sulla Cananea, la cui attribuzione ad Eusebio e' semplicemente incredibile, ma si spiega con l'accenno iniziale alla Chiesa e alla sua storia, e dunque presuppone in chi ha concepito tale attribuzione una certa cultura. E' anche pensabile che per lo piu' queste omelie circolassero gia' in greco in raccolte antologiche con poco chiare indicazioni di autore (cf. quanto abbiamo detto sopra), e che questo abbia avuto le sue conseguenze nella tradizione copta. (2) Il secondo motivo che ci induce a pensare che la persona dell'autore avesse poca importanza e' il fatto che gli autori egiziani, ed in primo luogo i vescovi di Alessandria, non solo non siano privilegiati, ma anzi siano stati nettamente sfavoriti nella scelta nei confronti soprattutto dei padri cappadoci. Quando noi constatiamo che della polemica contro Nestorio sono state scelte piuttosto omelie di Proclo che di Cirillo dobbiamo concludere che i testi valessero per se' e non per il nome dell'autore. Si noti che la prefenza sara' andata ai testi piu' popolari, non a quelli migliori teologicamente o piu' autorevoli. Anche a Giovanni Crisostomo e' riservato un posto cosi' ampio rispetto agli altri autori - tenuto oltretutto conto della sua controversia con Teofilo - che la ragione puo' essere solo dovuta alla sua grande fama letteraria, che aveva sparso suoi testi su scala molto vasta, invadendo anche l'Egitto. Questo ci da' un altro criterio secondo cui avranno lavorato i traduttori: essi cioe' sembrano aver preso (o scelto) da cio' che offriva il mercato "normale" delle edizioni gia' in greco" mercato che era pero' piuttosto quello di livello popolare che non ufficiale (scelta di pseudo-crisostomi etc. invece di opere di prima qualita'). 9. Traduzioni agiografiche del periodo "classico". Venendo ora alle traduzioni agiografiche, i problemi che esse pongono sono simili a quelli delle traduzioni omiletiche (riconoscere le vere traduzioni dalle false" identificare gli eventuali criteri di scelta), ma il metodo per risolverli e' alquanto differente, ed e' in stretta connessione con le con le opinioni circa la stessa agiografia greca. Noi accetteremo, prima di tutto, alcuni punti stabiliti dal DELEHAYE <21>: I testi agiografici copti sono strettamente dipendenti da quelli greci, non solo nel senso che ne sono traduzioni, ma anche nel senso che i principi ispiratori del lavoro agiografico da parte delle scuole greche rimase alla base anche di quelle copte. Nell'agiografia greca possiamo distinguere alcune passioni basate su racconti originali, da quelle (assai piu' numerose), costruite praticamente dal nulla, secondo i canoni di un genere letterario di moda durante il IV secolo. Sembra che Alessandria, sebbene non fosse la culla di questo genere letterario, fosse tuttavia il maggior centro di produzione. Percio' le passioni del "genere epico" (come lo chiamo' il Delehaye) erano diffuse in Egitto prima del consolidamente e della diffusione della letteratura patristica in lingua copta. La scuola egiziana che operava in lingua greca non compose solo passioni di martiri egiziani, ma anche di amrtiri stranieri, che erano popolari in Egitto. Questi testi furono immediatamente disponibili ai traduttori copti, e rappresentarono un modello imitato poi dai successivi autori copti originali. Questo modello e' stato accuratamente analizzato dal BAUMEISTER <223/4 nella sua forma "finale" (cioe' che si trova nei manoscritti del IX-XI sec.) del "koptischer Konsens". Si tratta dello sviluppo in narrazioni simili del tema tipicamente egiziano della "vita indistruttibile", che si trova in un gran numero di passioni copte. Il Baumeister non distingue tuttavia il "modello" dai testi in cui si trova. Occorre invece tener presente che, se il modello e' sicuramente frutto di una elaborazione copta a partire dal genere "epico"" i testi in cui si trova possono avere una piu' lunga storia davanti a se', cosicche' la presenza del modello del "koptischer Konsens" rappresenta solo un ultimo stadio redazionale. Ecco dunque la possibile linea di sviluppo delle traduzioni agiografiche copte <23>. Vi sono prima di tutto le traduzioni di originali greci a loro volta derivati da atti di processi ufficiali: in particolare, la Passio Colluthi e la Passio Psotae, nella loro redazione breve, primitiva. E' interessante notare come ambedue queste passioni hanno generato piu' tardi una redazioni piu' lunga, del genere del "koptischer Konsens", scritta originariamente in copto, testimoniando cosi' l'evoluzione dell'agiografia egiziana. Vi sono poi i testi del periodo quando la scuola di lingua greca aveva standardizzato il genere "epico", ancora non amplificato in quello del "koptischer Konsens". In questo periodo si nota gia' la tendenza alla creazione di cicli, che sara' una delle caratteristiche principali della scuola copta originale piu' tardiva. Abbiamo cosi' il ciclo del persecutore e poi martire egli stesso Ariano, prefetto della Tebaide" e il ciclo dei martiri giulianei. Altre passioni invece sono individuali, ma sempre costruite secondo il genere epico (Epimaco, Mena, Giacomo Persiano, Leonzio di Tripoli, Mercurio, Pantaleone, Eustazio, Ciro e Giovanni, i 40 martiri di Sebaste). Altre passioni delle stesso genere sono particolari per avere connotazioni tipicamente egiziane, e non se ne conosce l'esemplare greco. Tuttavia crediamo che sia esistito: si tratta dei martiri Gioore, Herai, Dios. Vi sono anche passioni di martiri-monaci, che testimoniano l'unione della scuola agiografica con il movimento monastico del Medio Egitto (cf. sopra, p. *7) Papnute, Pamin, Pamun e Sarmata, Panine e Paneu. Un accenno merita infine un gruppo di testi, che e' un po' a mezzo fra la patristica e l'agiografia, e che certo fu tradotto in questo periodo: la vita di Antonio scritta da Atanasio" la vita di Gregorio Taumaturgo scritta da Gregorio di Nazianzo" le vite di Paolo e Ilarione scritte da Gerolamo" la vita di Epifanio di Salamina attribuita al suo discepolo Polibio" la vita di Simeone stilita attribuita al suo discepolo Antonio" ed anche gli Apophthegmata Patrum nella forma della Collezione Sistematica. 10. Distacco dalla cultura greca. Con la crisi calcedonense, i cui effetti si fanno sentire dal nostro punto di vista soprattutto a partire dal VI secolo, nasce la vera Chiesa copta, distinta da quella che era la Chiesa egiziana come parte del Cristianesimo internazionale. In questo periodo si collocano due fenomeni che sembra abbiano portato al troncamento del lavoro di traduzione. (1) Il rafforzamento e la diffusione dell'attivita' letteraria originale in lingua copta, secondo l'esempio di Shenute. (2) La scissione della tradizione letteraria copta da quella greca internazionale. Il greco comincio' piano piano ad essere sentito come la lingua degli oppressori, e la cultura teologica in greco (ormai quasi esclusivamente calcedonense) divenne sospetta. Percio' fu necessario costruire una cultura ed una letteratura tipicamente copte, sia storiche che spirituali. La questione linguistica non fu probabilmente cruciale fin dal principio" fu piuttosto un processo storico naturale che porto' dall'opposizione alla produzione piu' recente proveniente da Costantinopoli, all'opposizione alla lingua greca in se'. Percio' per i testi egiziani di questo periodo, che abbiamo solo in copto, non e' mai possibile avere la sicurezza che siano originali o tradotti. E' possibile pensare che quelli di ambiente alessandrino (come p. es. la seconda parte della Storia Ecclesiastica e le collezioni degli Atti dei Concilii) siano stati scritti in greco" quelli di ambiente monastico della Valle del Nilo siano stati scritti in copto <24>. Tito ORLANDI N O T E 1. Cf. W.-P. FUNK, "Polis, polites" und "politeia" im koptischen. Zu einigen Fragen des einschlagigen koptischen Lehnwortschatzes, in: E. CH. WELSKOPF (ed.) Die Fortleben altgriechischen sozialer Typenbegriffe... 2. Teil, Berlin 1982, p. 283-320 (v. p. 283). - Lo stato dei fatti e' pero' forse da rimettere in discussione: cf. E.A. REYMOND, Demotic Literary Works of Graeco-Roman Date in the Rainer Collection of Papyri in Vienna, in: AA.VV.,Festschrift... Papyrus Erzherzog Rainer, Wien 1983, p. 42-61. 2. La questione e' spesso affrontata, ma da punti di vista parziali, e manca una trattazione sufficientemente approfondita. Le piu' significative ci sembrano: G. BARDY, La question des langues dans l'eglise ancienne, Paris 1948, p. 38-52" G. STEINDORFF, Bemerkungen uber die Anfange der koptischen Sprache und Literatur, in: AA.VV., Coptic Studies in Honor of W.E. CRUM, Boston 1950, p. 189-214. R. KASSER, Les origines du Christianisme egyptien, R.Th.Ph. 1962, p. 11-28. 3. E' questo un punto particolarmente controverso: cf. L.Th. LEFORT, A propos de syntaxe copte: "tare mare mprtre", "Le Museon" 60 (1947) 7-28" H.J. POLOTSKY, Modes grecs en copte, in: AA.VV., Coptic Studies in Honor of W.E. CRUM, Boston 1950, p. 73-91. Anche qui pero' i punti di vista sono spesso parziali. Altracosa e' l'influsso del greco sulla lingua in se', altra l'influsso sull'aspetto letterario della lingua. Sul vocabolario cf. di nuovo FUNK (cit. n. 1). 4. Altre letterature sono piu' fortunate: si pensi a quella siriaca o a quella armena. 5. P.E. KAHLE, Bala'izah, London 1954, p. 269-278. 6. C.H. ROBERTS, Manuscript Society and Belief in Early Christian Egypt, Oxford 1979. 7. Ci basiamo qui sulla nostra analisi: Gli apocrifi copti, "Augustinianum" 23 (1983) 57-72. Ivi bibliografia. 8. Cf. quanto detto a p. *2 (e sotto, p. *5). 9. T. ORLANDI, Patristica copta e patristica greca, "Vetera Christianorum" 10 (1973) 327-341" id., Omelie copte, Torino 1981, Introduzione. 10. Cf. J.B. LIGHTFOOT, The Apostolic Fathers, Part II, Vol. II, London 1889, p. 126-128. 11. Cf. soprattutto STEINDORFF, cit. n. 2. 12. In corso di stampa nel volume Pachomiana Coptica (Roma 1984?). 13. ** SPAZIO PER UN TITOLO DA CONTROLLARE ** 14. Cf. gia' J. LEIPOLDT, Geschichte der koptischen Litteratur, in: C. BROCKELMANN (etc.), Geschichte der christlichen Litteraturen des Orients, Leipzig 190* (rist. 1911; 1978), p. 131-182. 15. Cf. KAHLE, op. cit. (n. 5), p. 14. 16. Cf. nota 9. 17. Per le edizioni dei testi ed eventuali notizie critiche ci limitiamo (per motivi di spazio) a rimandare alla Coptic Bibliography, Roma (edizione annuale comprendente tutti i titoli apparsi precedentemente), a cura del Corpus dei Manoscritti Copti Letterari (dir. T. Orlandi). 18. Interessanti eccezioni sono le due opere di Gregorio di Nissa, a proposito delle quali cf. T. ORLANDI, Gregorio di Nissa nella letteratura copta, "Vetera Christianorum" 18 (1981) 333-339. 19. Cf. nota 9. 20. J. GRIBOMONT, Les succes litteraires des Peres grecs, "Sacris Erudiri" 22 (1974/5) 23-49. 21. H. DELEHAYE, Les martyrs d'Egypte, "Analecta Bollandiana" 40 (1922) 5-154, 299-364. 22. Th. BAUMEISTER, Martyr Invictus, Munster 1972. 23. Di nuovo per la bibliografia rimandiamo all'opera cit. a n. 17. 24. A. CAMPAGNANO, Monaci egiziani fra V e VI secolo, "Vetera Christianorum" 15 (1978) 223-246.