LE TRADUZIONI DAL GRECO

           E LO SVILUPPO DELLA LETTERATURA COPTA



1. Introduzione.

     Mi  e' gradito anzitutto ringraziare gli  organizzatori 
di  questo Congresso per il cordiale invito a  parteciparvi. 
Il tema che presento,  che pure viene quasi spontaneo per me 
dato il tema generale proposto, e' particolarmente difficile 
sia  per il carattere delle traduzioni copte (e  soprattutto 
della loro tradizione manoscritta),  sia per la scarsita' di 
informazioni  (ma  anche di indagini) sullo  sviluppo  della 
letteratura  copta.  In realta' il nostro e' un tentativo di 
sfruttare  quello che e' possibile sapere  delle  traduzioni 
copte,   per  approfondire  il  tema  dello  sviluppo  della 
letteratura copta.  
     Ci  si perdonera' dunque se approfittiamo del titolo di 
questo Congresso ("Arbeits"-Konferenz) per presentare  delle 
ipotesi   di   "lavoro",   piuttosto   che   dei   risultati 
sufficientemente  sicuri.  Alcune  di queste  ipotesi  sono, 
oltretutto,  volutamente  provocatorie.  Ci auguriamo che la 
discussione sul contributo che presentiamo (sia  nell'ambito 
del Congresso, sia in futuro) ne sia almeno stimolata.


2. Gli inizi.

     L'identificazione  delle  prime traduzioni eseguite  in 
copto sembra sicura: si tratta dei testi biblici e di alcuni 
testi  che  chiameremo per brevita' "gnostici"  (secondo  la 
consuetudine;  sono quelli del fondo di Nag Hammadi ed altri 
ad  essi  comparabili).  Altrettanto sicuro  sembra  che  le 
traduzioni siano i primi prodotti della letteratura copta.
     Pertanto   i  problemi  fondamentali  che  pone  questo 
periodo  iniziale  sono due:  lo scopo che i  traduttori  si 
ponevano, e l'ambiente dal quale essi provenivano.
     Per  quanto riguarda lo scopo,  occorre tener  presente 
soprattutto che gli Egiziani,  iniziando una letteratura  in 
lingua  copta,  riprendevano una attivita'  letteraria  dopo
alcuni secoli di silenzio <1>, e non e' del tutto logico che 
l'abbiano fatto solo per eseguire delle traduzioni.
     Per la maggior parte degli studiosi <2>, le circostanze 
storiche  di  quel periodo (ca.  II secolo d.C.)  bastano  a 
risolvere  il problema.  La cultura greca aveva dominato  il 
Paese  per  parecchi  secoli,  insieme  col  governo  e  con 
l'amministrazione.  Quando,  ad un certo momento,  parecchia 
gente  di  ogni classe si era volta ad una nuova  religione, 
quella  Cristiana,  si  era reso  necessario  diffondere  la 
conoscenza  delle  Sacre  Scritture  e  di  altri  testi  di 
rilevante importanza fra i credenti che ignoravano il greco, 
cioe' la lingua in cui quei testi erano giunti in Egitto.
     Ma questa spiegazione non ci convince,  soprattutto per 
due  motivi.  (1)  L'influsso greco sulla lingua  copta  era 
cosi' forte,  specialmente sul vocabolario,  ma anche  sulla 
sintassi  <3>,  che  non  ci  sembra possibile  che  per  un 
egiziano  fosse  molto piu' facile leggere  un  testo  copto 
piuttosto che un testo greco. (2) L'influsso culturale greco 
era  tale,  che  ci  sembra piu' appropriato parlare  di  un 
ambiente  quasi perfettamente bilingue nel quale e' nato  il 
copto,   ed  in  questo  ambiente  si  potevano  leggere   e 
diffondere  quasi  indifferentemente  testi  greci  e  testi 
copti.  Soprattutto, a nostro avviso, il contesto sociale in 
cui  avveniva tutto cio' era quello medio-alto,  e non anche 
quello  dei piu' umili contadini,  per i quali la  religione 
non poteva essere questione anche culturale.
     In  realta'  la soluzione di questi due problemi ci  e' 
piuttosto indifferente.  Quello che ci preme e' che essa non 
sia data per scontata, e noi tenteremo di dare un contributo 
originale   effettuando   tentativi  in   altre   direzioni. 
Tenteremo  infatti di distinguere le traduzioni  secondo  la 
loro  cronologia;  di trovare i differenti fini e  caratteri 
delle traduzioni nei differenti periodi storici;  finalmente 
di  stabilire  le possibili relazioni fra lo sviluppo  della 
letteratura di traduzione e quella originale.
     La  cronologia  delle  traduzioni  e'  soprattutto   un 
problema delicato,  perche' non abbiamo alcuna  informazione 
diretta  sui dotti e sulle scuole che le hanno eseguite <4>. 
Quanto ad informazioni indirette, noi possiamo dedurle da un 
solo elemento obiettivo: i manoscritti e la loro datazione.
     E' evidente che quanto si puo' dedurre dalla  datazione 
dei manoscritti e dal loro carattere e' assai opinabile, nei 
riguardi  del contenuto di quei manoscritti.  Ma non  avendo 
nulla  di  meglio,  e'  di qui che deve  partire  una  seria 
ricerca.  E'  noto  come gia' il grande KAHLE <5>  si  fosse 
mosso su questa via; e recentemente un importante contributo 
e' stato dato dalle osservazioni importantissimi del ROBERTS 
<6>.  Queste ultime vorremmo ricordare,  e anche  discutere, 
per  la parte che ci interessa,  perche' riteniamo che  esse 
rimarranno fondamentali per parecchio tempo.
     Il fine di ROBERTS e' quello di verificare (e in ultima 
analisi  provare  errata) l'ipotesi che la  Chiesa  egiziana 
fosse  di carattere gnostico nei primi tre secoli,  e che di 
conseguenza "gli gnostici abbiano anticipato i cattolici nel 
loro  appello  ai nativi egiziani".  Egli da'  peraltro  per 
scontato  che  le  traduzioni copte fossero  fatte  per  chi 
ignorava   il  greco,   e  dunque  basta  la   constatazione 
dell'esistenza  di  cristiani che ignoravano  il  greco  per 
giustificarne  la produzione.   Egli da' anche per  scontato 
che la prima attivita' in lingua copta dovesse consistere di 
traduzioni,  e quindi elude il problema del perche' cio' sia 
avvenuto.
     Ma  al di la' di questi pregiudizi (sui quali torneremo 
in seguito),  e al di la' di alcune imprecisioni del ROBERTS 
(il quale trascura i manoscritti copti bodmeriani del III-IV 
sec.   e   confonde  il  dialetto  in  cui  sono  scritti  i 
manoscritti  da  Nag Hammadi) le opinioni del  ROBERTS  sono 
fondamentalmente  sane,  e  due conclusioni  soprattutto  ci 
interessano. 
     Egli dimostra che, contrariamente ad una opinione molto 
diffusa,  la  letteratura  copta  non e'  nata  in  ambiente 
gnostico. Inoltre, che e' possibile che vi fossero centri di 
cultura  gnostica (egli ne individua p.es.  due,  uno presso 
Achmim,  l'altro presso Nag Hammadi) in contrasto con centri 
"ortodossi" (p.es. Ossirinco).
     Noi  non siamo d'accordo con le scelte  geografiche  di 
ROBERTS,  che sembrano derivate soprattutto dalla confusione 
circa  il  dialetto dei testi da Nag Hammadi,  ma l'idea  di 
differenti  centri di produzione letteraria e' basilare  per 
approfondire il problema che trattiamo.
     Aggiungeremo  infatti la seguente notazione.  Mentre la 
produzione "ortodossa" (le traduzioni bibliche  testimoniate 
dalla maggioranza dei codici antichi, e certe omelie di tipo 
pasquale)  sembra  assai  accurata sotto tutti  i  rispetti: 
lingua,  ortografia,  costruzione materiale, etc.; e cio' in 
tutti  i  dialetti  dal  saidico  al  boairico,   con  poche 
eccezioni;  la produzione "gnostica" e' nel complesso  molto 
meno   "professionistica",   con  frequenti   contraddizioni 
nell'ortografia, note personali degli scribi all'interno del 
testo, titolature irregolari, etc.
     Anche  e  soprattutto la tecnica stessa di  traduzione, 
sia  per la lingua in se',  sia per i criteri  sintattici  e 
semantici  coi  quali  e'  resoil  pensiero  dell'esemplare, 
evidenzia  una  grossa  differenza fra le due  categorie  di 
traduzioni,  come ha sperimentato ogni traduttore dei  testi 
da Nag Hammadi.
     Questo puo' essere spiegato in due modi.  (1) I circoli 
"ortodossi"  sono stati i creatori del copto (come lingua  e 
in  qualche  modo come cultura),  e gli "gnostici" ne  hanno 
seguito  l'esempio come potevano,  senza troppo  curarsi  di 
tutte  le  regole molto specialistiche che i  primi  avevano 
escogitato per scrivere chiaramente e con precisione. 
     (2)   Gli   "gnostici"  hanno  fatto  i  primi   passi, 
necessariamente   imperfetti,   e  gli   "ortodossi"   hanno 
consolidato e perfezionato le procedure.
     C'e'  da  dire che il contrasto tra testi  ortodossi  e 
gnsticizzanti, e di conseguenza fra gli eventuali rispettivi 
centri  di  produzione,  e' derivato da quanto e'  possibile 
notare   dai   manoscritti   e  dai   relativi   testi   che 
costituiscono le testimonianze in nostro possesso.  Ma molti 
studiosi stanno chiarendo recentemente che questo contrasto, 
oltre a non essere del tutto reale,  non puo' costituire  la 
prova  per  distinguere materialmente fra differenti  centri 
"fisici" di produzione.
     E' oggi evidente, in effetti, che alcuni centri, sinora 
considerati come la roccaforte dell'ortodossia,  non lo sono 
stati  fin  dall'inizio (si pensa soprattutto  ai  monasteri 
pacomiani),  ed  ivi possono essere convissuti,  almeno fino 
all'inizio del IV secolo, testi di vario genere. Tuttavia ci 
sembra ugualmente lecita la distinzione culturale, nel senso 
che  se  anche  circoli di  diversa  tendenza  possono  aver 
convissuto  in  un medesimo ambiente,  non per  questo  essi 
cessano  di  essere sostanzialmente diversi per  tendenza  e 
forse per origini culturali l'uno dall'altro.
     La  sola  conclusione che si puo'  trarre  dallo  stato 
attuale  delle nostre conoscenze e' che siamo ancora lontani 
dal  poter  risolvere  i molteplici problemi  che  le  prime 
traduzioni copte pongono. Ma e' per lo meno molto importante 
rendersi conto appunto della complessita' di questi problemi 
e della situazione culturale dalla quale essi derivano.
     Se si tiene in mente la varieta' di gruppi, dottrine ed 
attivita'  religiose ed organizzative da cui nasce la  prima 
letteratura copta,  e si guarda alle varie testimonianze con 
animo   sgombro  da  pregiudizi,   la   ricerca   risultera' 
probabilmente  piu'  fruttuosa  di quanto lo e'  stata  fino 
adesso.

3. Gli apocrifi.

     Muovendoci sulla linea sopra esposta, prenderemo ora in 
considerazione  un  gruppo di testi che da questo  punto  di 
vista e' stato finora trascurato, ovvero reso troppo ampio e 
generico per essere utile: i cosiddetti Apocrifi dell'Antico 
e Nuovo Testamento <7>.
     Crediamo   che  questi  testi  possano   essere   assai 
istruttivi,  se  si accetta che la datazione dei manoscritti 
possa   dare  qualche  indicazione  circa  la   data   delle 
traduzione  <8>.  Infatti alcuni apocrifi sono noti solo  da 
manoscritti antichi (IV-V sec.),  mentre la maggior parte lo 
sono da manoscritti a partire dall'VIII sec. in avanti. 
     Ci  sembra  significativo  il  fatto  che  proprio  gli 
apocrifi  che si trovano nei manoscritti antichi  siano  poi 
scomparsi   nella  tradizione  posteriore:   questo  farebbe 
pensare ad una selezione operata verso il VI  sec.  Inoltre, 
mentre  gli  apocrifi dei manoscritti tardivi sono in  linea 
con  la "normale" produzione patristica tradotta  a  partire 
dal  V secolo,  e sono stati probabilmente tradotti  insieme 
con essa, gli altri presentano caratteri diversi.
     Fra  gli apocrifi veterotestmentari di tradizione copta 
antica,  ne abbiamo due (Apocalypsis Eliae; Visio Isaiae) il 
cui  originale  proviene da un ambiente  misto  di  elementi 
giudaici  e cristiani,  in presenza di suggestioni nazionali 
egiziane.  Questo  tipo  di ambiente sembra  essere  appunto 
quello  nel  quale  e' nata la  letteratura  copta,  e  cio' 
spiegherebbe  la  rapidita' con cui quei  testi  sono  stati 
tradotti.
     D'altra  parte,  gli apocrifi neotestamentari  sembrano 
essere   stati  importati  dall'Asia  Minore  (Acta   Pauli, 
Epistula  Apostolorum,  Acta  Petri),  indicando  cosi'  una 
connessione   con  quell'ambiente.   Non,   si   noti,   una 
connessione dell'Asia Minore col Cristianesimo alessandrino, 
che   sarebbe  preclusa  dalla  nota  rivalita'   dottrinale 
(soprattutto  da  Origene in avanti),  ma con alcuni  centri 
della Valle del Nilo.
      Prima di approfondire questo aspetto della  questione, 
occorrera'  esaminare  altre possibili  traduzioni  antiche: 
quelle omiletiche.

4. Omelie "antiche".

     L'operazione   di   dividere  il  materiale   omiletico 
tradotto nel III-IV secolo da quello tradotto piu' tardi  e' 
soggetta  alle stesse obiezioni esposte sopra (p.  *2 e *5).  
Tuttavia siamo qui per fortuna su un terreno piu' sicuro.
     Prima di tutto,  la maggior parte delle omelie tradotte 
in  copto,  sono  state scritte in greco da autori  che  non 
possono  essere  stati  conosciuti in Egitto prima  del  350 
circa:   i  due  Gregori,   Basilio,   Giovanni  Crisostomo, 
Atanasio, etc.
     In secondo luogo,  il manoscritto della piu' importante 
omelia  precedente  a  quel periodo  e'  anche  copiata,  in 
traduzione copta,  in un manoscritto del III o IV secolo, il 
che pone un limite alla data della traduzione.
     Cosi'   noi  dobbiamo  solo  ammettere   due   opinioni 
ipotetiche,  ma ben fondate, per condurre la nostra analisi. 
(1)  Le  omelie attribuite ad autori come Evodio di Roma  (o 
meglio Antiochia),   Pietro di Alessandria, ed altri simili, 
sono pseudepigrafi tardivi (probabilmente del VII sec.) <9>. 
(2)   Una   coppia  di   testi,   uno   sicuramente   antico 
nell'originale  (Melitone  De  anima  et  corpore),  l'altro 
probabilmente antico (Ps. Basilio De templo Salomonis), sono 
stati  anche  tradotti anticamente.  Questo dovrebbe  essere 
provato  dal fatto che la maggior parte del loro  contenuto, 
come vedremo,  non puo' aver avuto interesse in Egitto  dopo 
il IV secolo.
     Ammesso  cio',  abbiamo tre testi da esaminare.  Due di 
essi  sono  di Melitone di Sardi:  De Pascha,  De  anima  et 
corpore.  Il  terzo  e' falsamente attribuito a  Basilio  di 
Cesarea: De templo Salomonis.
     Melitone De Pascha e' troppo noto per essere  riassunto 
qui.  Quello  che ci interessa e' il fatto che il suo  testo 
sembra  essere  divenuto presto molto raro nella  tradizione 
patristica  piu' autorevole,  tanto che era ritenuto perduto 
fino a poco tempo fa,  quando ne furono scoperte tre papiri, 
tutti  e tre molto antichi,  in Egitto.  Due  contengono  la 
versione  copta (uno e' solo un frammento),  uno la versione 
greca.
     Melitone  De anima et corpore e' perduto come omelia  a 
se' nella tradizione greca principale,  salvo che per alcuni 
excerpta inclusi in altre omelie dall'antichita'.  Invece ne 
abbiamo il testo completo (sia pure in redazioni differenti) 
in copto (sotto il nome di Atanasio);  in siriaco (sotto  il 
nome  di Alessandro di Alessandria);  in georgiano (sotto il 
nome di ambedue).
     Non  entriamo nel merito delle differenze  redazionali. 
Possiamo dire che il copto sembra dare l'idea piu'  completa 
del testo originale, che era diviso in due parti. La seconda 
parte   e'   in  certo  senso  la  piu'   ovvia,   e   parla 
dell'incarnazione e della passione del Salvatore, in termini 
molto simili a quelli del De Pascha. La prima parte, invece, 
contiene  un  notevole  brano teologico sul  problema  della 
relazione  fra  Anima e Corpo,  che in ogni  caso  e'  molto 
lontano  da una teologia che potesse essere accettabile  per 
un seguace della scuola alessandrina.
     Perche'  in  effetti,  dal  nostro punto  di  vista,  i 
problemi  che pongono queste omelie di Melitone tradotte  in 
copto  derivano  proprio dalla diffusione in Egitto  di  una 
delle meggiori autorita' della scuola teologica  "asiatica", 
per  la  quale  la scuola alessandrina non  nascose  mai  il 
proprio  disprezzo,  a  causa soprattutto della sua  esegesi 
ingenua,    semplicistica,    e    talora    pericolosamente 
materialistica.
     Sono  questi dei problemi che i commentatori  hanno  in 
genere trascurato, poiche' concentrano la loro attenzione su 
Melitone  stesso  e  sui suoi tempi.  Ad ogni modo  essi  si 
ripetono per la terza omelia in questione,  lo Ps.  Basilio, 
la  quale  e'  un'esegesi del brano  biblico  relativo  alla 
costruzione  del  Tempio  di  Salomone,   interpretato  come 
un'allusione  alla  creazione,   prima,  del  mondo,  e  poi 
dell'uomo.
     Il testo comincia con un interessante pezzo di teologia 
"del silenzio", il silenzio nel quale il mondo fu creato, in 
contrasto  col rumore che accompagnera' la sua  distruzione. 
Una  tale teologia del silenzio sembra non avere  paralleli, 
dopo i brani di Ignazio di Antiochia, Eph. 18 e Mag. 8. 
     Quindi  il  tempio  e' preso  come  simbolo  dell'uomo, 
creato direttamente da Dio; quindi si parla del peccato, cha 
ha  causto  (o causera') la distruzione sia del  mondo,  sia 
dell'uomo,   ed   in  particolare  la  rovina  dei   Giudei. 
Finalmente si accenna alla redenzione di Cristo,  attraverso 
la quale il corpo dell'uomo e' di nuovo purificato.
     E' soprattutto la teologia del silenzio che lega questa 
omelia alla linea "asiatica" che va da Ignazio a Marcello di 
Ancira,  il  quale fu addirittura un forte oppositore  della 
linea alessandrina <10>.

5. Antagonismi dottrinali in Egitto.

     Da quanto abbiamo esposto nei due paragrafi precedenti, 
possiamo  concludere  che vi furono due influssi  principali 
(sul  terreno  di base della cultura cristiana)  all'origine 
della letteratura copta,  una interna  all'Egitto,  derivata 
dalla   cultura  giudaica;   una  proveniente  dall'esterno, 
identificabile con la cultura asiatica cristiana, con la sua 
mistura  di encratismo,  gnosticismo encratitico ed  esegesi 
"materialistica".
     L'influenza giudaica non solleva problemi. Essa e' gia' 
stata  riconosciuta  da tempo,  anche se  non  dallo  stesso 
nostro  punto  di vista,  ed addirittura si e' supposto  che 
fosse il principale elemento nella nascita della letteratura 
copta <11>.
     Diverso  e'  il  caso  dell'influenza   asiatica,   che 
contraddice  la  teoria  secondo la quale  il  cristianesimo 
egiziano deriva direttamente dal cristianesimo alessandrino. 
Di nuovo invece occorre ammettere un quadro piu'  complesso, 
nel  quale una molteplicita' di elementi diversi stabilirono 
fra loro varie forme di relazione.
     L'elemento nuovo,  quello dell'influenza asiatica, pone 
il  problema di cercare quale fosse l'ambiente egiziano  che 
l'ha  accettata e sembra averne fatto la sua  caratteristica 
prevalente.  Per  trovare questo ambiente,  occorre a nostro 
avviso rivolgersi al movimento  monastico.  Tradizionalmente 
si divide questo ambiente in due regioni geografica,  quella 
settentrionale   e   quella   meridionale,    caratterizzate 
rispettivamente dal monachesimo anacoretico e cenobitico.
     A   parte   la  probabile  inesattezza  di   una   tale 
caratterizzazione,  che  qui poco interessa,  il monachesimo 
settentrionale  sembra  fuori gioco,  in parte  per  un  suo 
disinteresse per la letteratura (p.  es.  Antonio), in parte 
perche'  sembra  essersi espresso essenzialmente  in  lingua 
greca.
     Percio'  le  traduzioni  copte di questo  periodo  sono 
generalmente  attribuite al monachesimo di  tipo  pacomiano. 
Anche questo pero' non risolve il nostro problema. Non ci e' 
possibile qui entrare in dettagli; diremo solo che le nostre 
indagini <12> ci hanno condotto ad affermare che, sebbene in 
effetti  Pacomio  sia  il primo (o uno dei  primi)  ad  aver 
adottato  la  lingua copta,  egli ed i suoi  successori  non 
erano   interessati,   anzi  si  opponevano,   alla  cultura 
patristica  greca  del  loro periodo,  con  i  suoi  modelli 
retorici greci,  ed e' quindi assai improbabile che  abbiano 
fatto o fatto fare delle traduzioni.
     Oltre  a  cio',  le  lettere di Pacomio  (con  il  loro 
linguaggio mistico, mostrano almeno una certa tendenza verso 
qualche  genere  di  gnosticismo o per lo  meno  di  cultura 
gnosticizzante, e questo porta ad escludere un atteggiamento 
amichevole verso l'esegesi asiatica.
     Esistono invece altri testi,  dei quali anche ci  siamo 
occupati piu' ampiamente altrove <13>, relativi alla vita di 
Aphu di Ossirinco,  di Apollo di Bauit (presso Shmun),  e le 
opere  di  Paolo  di Tamma (tutti  nel  medio  Egitto),  che 
possono risolvere il nostro problema. Essi infatti delineano 
l'ambiente  monastico  del  Medio Egitto come  il  possibile 
ricettacolo  della  teologia  asiatica,   con  una   esegesi 
tendenzialmente  letterale  ed un materialismo  spinto  fino 
all'antropomorfismo.
     E' in questo ambiente che si possono collocare le prime 
traduzioni   di   testi  patristici   greci   (apocrifi   ed 
omiletici),  scelti  fra  quelli anti-gnostici e di  esegesi 
letterale.  Questo  ambiente e' poco noto presso  la  stessa 
tradizione   copta,    perche'   probabilmente   fu   presto 
rimpiazzato  dal nuovo centro culturale fondato e fortemente 
condotto da Shenute, che unifico' le tendenze anti-gnostiche 
con   quelle   alessandrine  (almeno  per  la   parte   piu' 
"ortodossa"). 

6. Shenute.

     Con   questa   operazione,   di  tale   importanza   da 
determinare  la  svolta decisiva della letteratura  e  della 
cultura  copta,  Shenute  otteneva il  doppio  risultato  di 
mantenere  una  certa tradizione culturale  del  monachesimo 
egiziano,  da  un  lato,  ed una certa tradizione  culturale 
della  scuola teologica  alessandrina,  dall'altro,  andando 
cosi'   incontro  sia  ai  desideri  del  Patriarcato   (che 
specialmente da Teofilo in avanti non tollerera'  iniziative 
singole  nel proprio dominio) sia ai gusti del cristianesimo 
della Valle del Nilo.
     Dal  punto  di vista letterario,  Shenute e'  anche  di 
capitale  importanza per la sua accettazione  della  cultura 
letteraria  greca  e della relativa  retorica.  Cio'  appare 
chiaramente  dall'impianto  e  dallo stile delle  suo  opere 
originali,  al  di  la' degli ovvii personalismi che  vi  si 
trovano,  ed hanno fatto spesso trascurare gli altri fattori 
sui quali invece noi poniamo l'accento.
     Egli  si occupo' certo anche dell'organizzazione  della 
traduzione  su vasta scala dei testi patristici greci del IV 
e V secolo,  anche se di cio' non abbiamo prove obiettive. E 
sara'  da menzionare a questo punto anche l'attivita'  della 
preparazione delle traduzioni bibliche "standardizzate", che 
dal  VI  secolo  in  avanti  soppianteranno  le   precedenti 
redazioni piu' o meno individuali od accettate ufficialmente 
dalla Chiesa <14>.
     Sara' necessario tuttavia attendere una nuova  edizione 
che  rimpiazzi quella di HORNER (pur con tutti i suoi  pregi 
<15>),  per  avere  un'idea piu' precisa di  questo  lavoro, 
soprattutto in base al confronto coi manoscritti del III, IV 
e V secolo recentemente venuti alla luce.  Per il momento si 
puo'  solo  affermare  che la  standardizzazione  del  testo 
biblico,  se non ebbe un grande influsso sulla storia  delle 
letteratura  in  se',  ne  ebbe uno molto  importante  sulla 
lingua,  perche'  da  questo periodo inizia quello  che  noi 
chiameremmo il copto (saidico) "classico".

7. Traduzioni omiletiche del periodo "classico".
     Sara'   ora   opportuno  esaminare  in   dettaglio   le 
traduzioni  effettuate in questo periodo.  Occorre prima  di 
tutto fare una premessa di carattere generale.
     La  parte della letteratura copta che consiste di testi 
attribuiti  (nei  titoli che si trovano nei  manoscritti)  a 
Padri  della  Chiesa  del IV e V  secolo,  oppure  di  testi 
agiografici  che sono dati per composti in quel  periodo,  e 
che  dunque dovrebbero essere tutti traduzioni da  originali 
greci,  e'  sempre stata la piu' imbarazzante da trattare da 
parte degli studiosi.
     Da un lato,  essa sembra essere la quasi totalita'  del 
materiale  letterario  in lingua copta"  ed una  letteratura 
fatta   di  traduzioni  scoraggia  a  priori   ogni   studio 
letterario.  D'altra parte, le attribuzioni d'autore fornite 
nei  titoli  dei  manoscritti appaiono per una  buona  meta' 
false, e per un altro quarto assai problematiche.  
     Affrontare   una  simile  situazione  e'  certo   assai 
spinoso.  Noi siamo in realta' del parere che quasi tutte le 
opere falsamente attribuite,  cioe' gli  pseudepigrafi,  non 
solo  non appartengano agli autori designati dal titolo,  ma 
non  siano affatto traduzioni ed appartengano ad un  periodo 
molto  posteriore a quello in cui erano vissuti  i  supposti 
autori. 
     Non e' possibile tuttavia trattare qui questa  materia, 
e  percio'  ci limiteremo a rimandare una volta di  piu'  ad 
altri  nostri contributi <16>.  Quello che ora importa  aver 
presente,  a  questo riguardo,  e' che i titoli che appaiono 
nei  manoscritti devono essere mantenuti distinti dai  testi 
ai quali sono riferiti,  e vanno studiati di volta in  volta 
come problema a se'. Da un punto di vista metodologico, quei 
titoli non possono essere invocati,  non dico come prova, ma 
nemmeno come base di ipotesi per l'attribuzione di un testo. 
     L'eventuale coincidenza fra l'autore reale di un  testo 
e  quello a cui il testo e' attribuito nel manoscritto o nei 
manoscritti e' da ritenere puramente casuale.  Unica  grande 
eccezione   e'   quella  di  Shenute,   la  cui   tradizione 
manoscritta e' pero' molto particolare, tanto che in effetti 
la  parte della sua opera che e' tramandata al di fuori  del 
Monastero Bianco e' soggetta a parecchi dubbi.   
     Quello  dunque che occorre valutare e' la situazione di 
fatto  che  i  testi  stessi,   a  prescindere  dalle   loro 
titolature,  presentano,  rispetto  a quanto sappiamo  della 
letteratura  patristica  greca.  In base a cio' noi  abbiamo 
compiuto  un  lavoro  di separazione dei  testi  tardivi  ed 
originali copti del VII-VIII secolo,  ed ora tratteremo solo 
di  quei testi che corrispondono ad un originale  patristico 
greco  del IV-VI secolo a noi noto,  ovvero appaiono  essere 
stati  tradotti  dal  greco in  questa  stessa  epoca  (IV-V 
secolo), anche se non se ne conosce l'originale.  
     Nell'uno   e  nell'altro  caso  l'autore  a  cui   sono 
attribuiti nella tradizione copta puo' essere quello giusto, 
ovvero  non  corrispondere  alla  realta'.  In  molti  casi, 
peraltro, noto o meno che sia l'originale greco, molti testi 
sono destinati a rimanere irrimediabilmente anonimi: in modo 
particolare quelli agiografici.
     Non  e'  certo il caso di dare in questa sede  l'elenco 
completo  delle  traduzioni  di  cui  siamo  a   conoscenza. 
Desideriamo pero' darne almeno un'idea sintetica,  prendendo 
in   considerazione   gli  autori   attestati   (in   ordine 
alfabetico) e menzionando le opere principali tradotte .
     Di ATANASIO di Alessandria furono tradotte le Epistulae 
Festales,  la Vita Antonii,  le Expositiones in Psalmos.  Le 
molte omelie a lui attribuite sono sicuramente spurie.
     Le  omelie  di BASILIO di Cesarea godettero  invece  di 
grande  fama,  se  ne troviamo un vero Corpus in  almeno  un 
codice,  e sparsamente: De misericordia et iudicio (CG2929)" 
De ieiunio (CG2845)"  De baptismo  (CG2896)"  Constitutiones 
asceticae (CG2895).
     EFREM  Siro  dovette essere particolarmente  amato  dai 
monaci.    Troviamo:    Sermo    asceticus   (CG3909)"    De 
transfiguratione  (CG3939)"   De  peccatrice  (CG3952)"   De 
Antichristo (CG3946); In Ioseph patr. (CG3938).
     GIOVANNI  Crisostomo  e' l'autore  piu'  rappresentato. 
Troviamo  Ad  Stelechium  (CG4309)"   Ad  Theodorum   lapsum 
(CG4305)" Excerpta da In epist. ad Hebr. (CG4440)" De Davide 
et  Saul III (CG4412.3)"  In Petrum et Heliam  (CG4513)"  De 
Chananaea  (CG4529)"  De Nativitate (CG4657)"  In Mt.  12.14 
(CG4640)"  De Pentecoste (CG4536).  E' poi da menzionare  un 
codice  boairico  (IX sec.) con una ricca raccolta di  altre 
omelie" ed altre omelie si trovano sparsamente in traduzione 
boairica.
     Di GREGORIO di Nissa sono testimoniati:  Vita  Gregorii 
Thaumaturgi (CG3184)" De anima et resurrectione (CG3149)" In 
Ecclesiasten  homiliae  VIII (CG3157)"  De deitate Filii  et 
Spiritus Sancti (CG3192).
     Di PROCLO di Cizico:  De Nativitate (CG5800)" De Pascha 
(CG5812); De dogmate incarnationis (CG5822). 
     Di  SEVERO  di Antiochia:  In  Romanum  (CG7035.1)"  In 
Mariam  V.   (CG7035.14)"   De  Ascensione  (CG7035.24)"  In 
Leontium (CG7035.27)" De epiphania (CG7035.103)" Epistula ad 
Theognostum (CG7070.9)"  Epistula ad Anastasiam (CG7070.12)" 
Epistula ad Soterichum (CG7070.13).
     Menzioneremo in fondo,  perche' meno attestati: CIRILLO 
di  Alessandria (un paio di omelie di cui una negli atti  di 
Efeso)"  CIRILLO  di  Gerusalemme (parte di una  Catechesi)" 
EPIFANIO di Salamina (Ancoratus,  de gemmis)"  SEVERIANO  di 
Gabala (un paio di omelie).
8. Caratteristiche.
     Il  lavoro  di  traduzione compiuto in copto  e'  stato 
svolto  secondo  criteri,  ed in  condizioni  tali,  che  lo 
rendono  assai  diverso da quello compiuto per  le  analoghe 
letterature  dell'Oriente  cristiano.   Infatti  mentre   in 
siriaco, armeno e georgiano, insieme a traduzioni di singole 
omelie  (di  solito ad uso liturgico) si trovano  traduzioni 
sistematiche  dei corpora degli autori  piu'  importanti,  e 
spesso   conosciamo  le  personalita'  che  hanno  fatto  le 
traduzioni o le hanno ispirate e suggerite,  in copto nessun 
testo ci parla di tali personalita' (che pure devono esserci 
state,  e  forse sono fra quelle a noi note,  ma  non  sotto 
questo  aspetto),  e la scelta dei testi obbedisce a criteri 
che dal nostro punto di vista e' assai deludente.   
     Invano  si  cercherebbero  opere fondamentali  come  la 
traduzione  armena di Ireneo o quella siriaca  di  Atanasio" 
per  tacere  del fatto che tutta la produzione piu' bella  o 
anche  quella  che si puo' definire la  piu'  "normale"  dei 
Padri  cappadoci,  di  Cirillo o di qualunque  altro  grande 
Padre,  che e' presente in siriaco,  armeno e georgiano,  e' 
quasi  del  tutto assente in copto <18>.
     Questa  constatazione  non  deve  pero'  suggerire  una 
svalutazione della qualita' della cultura dei copti,  per il 
motivo  molto  semplice  (se si accetta  quanto  proponevamo 
sopra)   che  i  copti  in  questo   periodo   partecipavano 
indifferentemente  sia della cultura in lingua greca sia  di 
quella in lingua copta. 
     Come  per le traduzioni bibliche,  noi non crediamo che 
il  fine  unico  delle traduzioni fosse  quello  di  portare 
alcuni testi greci a livello di persone che non  conoscevano 
il greco (anche se questo in qualche caso puo' essere  stato 
uno  dei fini).  Noi crediamo che il fine piu'  qualificante 
fosse  quello  di  costruire un  settore  della  letteratura 
spirituale  in una lingua che gli egiziani potessero sentire 
personalmente ed intimamente propria, anche se essa rimaneva 
alquanto artificiale, e anche se, ove necessario, gli stessi 
lettori  dei testi in copto potevano anche leggere testi  in 
greco.   
     Occorre  dunque  pensare  ad  una  cultura  e  ad   una 
situazione  storica molto peculiari"  e tenendo presente  la 
documentazione  che possiamo avere in mano,  occorre dedurne 
tutto  quanto  ne puo' risultare,  per caratterizzare  e  la 
cultura copta e le sue motivazioni storiche.
     Il  lavoro  di  traduzione  si  svolse  in  una  Chiesa 
egiziana  divenuta  ormai teologicamente  piu'  uniforme,  e 
organizzata  in maniera complessae perfezionata.  Finite  le 
dispute gnostiche e il pericolo della scissione meliziana  e 
dell'eresia    ariana,    l'interesse   si   sposto'   verso 
l'istituzione di una cultura e di una prassi utili al  lento 
progresso  di  giorno in giorno della Chiesa egiziana  della 
Valle  del Nilo,  che (soprattutto attraverso l'influsso  di 
alcuni ambienti monastici) diventava sempre piu' "copta".  
     Essa infatti acquistava via via quelle  caratteristiche 
che  la  identificheranno  spiritualmente nel  periodo  dopo 
Calcedonia,  quando anche da un punto di vista organizzativo 
sara' staccata dal Cristianesimo "internazionale".
     I testi di cui parliamo non sono omogenei e  presentano 
problemi  assai  varii.  E' chiaro  che,  mentre  disponiamo 
generalmente  di notizie soddisfacenti sugli orginali greci, 
quando essi sono conosciuti,  il lavoro dei traduttori copti 
e'  avvolto  nell'oscurita' piu' completa,  nella  quale  si 
cerca di far luce coi pochi mezzi a disposizione.   
     Per  quanto riguarda la cronologia,  per fissare  anche 
approssimativamente  l'epoca  in  cui  questo  lavoro  venne 
compiuto per la massima parte, disponiamo spesso della guida 
di un termine post quem (la data dell'originale  greco,  che 
anche per i testi agiografici puo' essere spesso fissata con 
buona  approssimazione) ma mai di uno ante quem,  se non  la 
data dei manoscritti, che per lo piu sono troppo tardivi. 
     Del  resto  consideriamo le traduzioni successive al  V 
secolo come eccezioni, e poniamo il periodo delle traduzioni 
fra V e VI secolo, per parecchi motivi. 
     Prima di tutto,  si puo' pensare che venissero eseguite 
le traduzioni di opere d'interesse attuale,  e non di  opere 
che  potessero  essere  in  qualche  modo  invecchiate  (sui 
criteri di scelta torneremo in seguito).  Da questo punto di 
vista   e'  significativo  che  gli  autori  tradotti  siano 
compresi  per  lo  piu'  nell'arco  di  tempo  compreso  fra 
Atanasio e Cirillo,  con punte secondo noi secondarie fino a 
Severo  di Antiochia,  Teodosio di Gerusalemme  (sempre  che 
quanto  abbiamo  in  copto sia genuino e  sia  tradotto  dal 
greco), Giovanni Digiunatore.  
     Ci sembra di poter presumere,  inoltre,  che la cultura 
copta abbia avuto,  in seguito a Calcedonia e in particolare 
in  seguito  ai  tentativi falliti  di  riunificazione,  che 
faremmo  concludere con Giustiniano,  una netta  tendenza  a 
separarsi dalla cultura greca "internazionale", che era come 
tale calcedonense.  
     Questo si nota soprattutto guardando all'evoluzione che 
ha  avuto presso la cultura copta la tradizione letteraria e 
storico-ecclesiastica  nel  periodo  successivo.  Produzioni 
come quelle dei testi "pleroforici" o dei "cicli  omiletico-
agiografici" <193/4 sembrano escludere una contemporanea opera 
di traduzione di testi greci autentici. 
     Per  quanto riguarda i motivi profondi che hanno spinto 
gli intellettuali copti a compiere il lavoro di  traduzione, 
essi non sembrano essere stati di semplice divulgazione.  In 
tal  caso  si  dovrebbe  presumere che  avrebbero  scelto  i 
migliori  esempi di dottrina e di retorica.  Questo  non  e' 
accaduto, ed invece, il criterio di scelta, molto riduttivo, 
sembra  essere  stato  quello di una precisa  aderenza  alle 
necessita' dell'ambiente egiziano, in particolar modo quello 
monastico,  che  cosi' poteva appropriarsi di alcuni  testi, 
facendoli del tutto suoi,  senza una particolare  attenzione 
alla loro provenienza,  ed alla pari con la coeva produzione 
spirituale e regolamentare che si stava sviluppando. 
     La  storia delle traduzioni in copto si inserisce nella 
storia   della   tradizione   manoscritta   in   greco.   E' 
quest'ultima una storia di per se' gia' molto complicata,  e 
ben  lontana  dall'essere  stata  indagata  quanto   sarebbe 
necessario. 
     Un  recente  importante  contributo,  se  non  volto  a 
delineare  le  linee  generali del problema,  e'  quello  di 
GRIBOMONT  <20>.  Esso riunisce alcuni esempi riguardanti le 
vicende  di alcune opere assai significative dei Padri  piu' 
importanti, e nota in generale:

     Queste  osservazioni  sono  preziose per  il  tema  che 
stiamo trattando" ma occorre, per il copto, rifarsi a quella 
che deve essere stata la tradizione "minore" delle opere dei 
Padri,   nello   stesso  ambito  greco.   Intendiamo  quella 
tradizione che ha riunito in codici di tipo antologico opere 
destinate  ad  una  diffusione  vasta  ma  per  un  pubblico 
particolare,  diremmo  non  intellettuale ma  con  interessi 
morali  e  pratici,  sia  pure  non  sprovvisto  di  qualche 
istruzione  "filosofica"  e  della  volonta'  di   conoscere 
qualche  problema  teologico.  
     Questo  tipo di tradizione e' probabilmente  alla  base 
del  fenomeno frequentissimo degli pseudepigrafi,  di cui e' 
vittima (come e' noto) soprattutto la tradizione di Giovanni 
Crisostomo.  Esso  e'  dovuto a due  fattori  apparentemente 
contraddittorii ma in realta' tipicamente concomitanti:  
- la volonta' di attribuire ad autori piu' famosi opere  che 
si  voleva diffondere a dispetto della loro paternita'  meno 
appetibile" 
- un  certo  disinteresse per la paternita' delle  opere  in 
confronto al loro contenuto.  
     Non e' questa la sede per approfondire l'indagine sulla 
tradizione  greca.  Stando a quella copta,  pensiamo che sia 
l'ambiente monastico (in particolare quello  shenutiano,  ma 
e'   ancora  presto  per  affermare  cose  del  genere   con 
sufficiente    certezza)   che   deve   essere   considerato 
responsabile di quanto e' stato fatto. Infatti quasi tutti i 
testi   trattano   argomenti   tipici   della   problematica 
spirituale    del   monachesimo,    anche    quando    erano 
originariamente concepiti per un pubblico diverso.   
     E'   vero  che  tali  temi  non  erano  esclusivi   del 
monachesimo"  ma  quello  che importa in questo caso  e'  la 
quantita'  assai  minore di testi che trattino di  argomenti 
non specificamente utili al monachesimo.  
     Per quanto riguarda i criteri di scelta,  un primo dato 
negativo,  secondo  noi  evidente,  e' che la scelta  veniva 
fatta  senza  tener gran conto del  nome  dell'autore.  Cio' 
risulta da due constatazioni principali:   
     (1)  Prima  di tutto i testi cambiavano  facilmente  di 
attribuzione,   in  modo  tale  che  talora  puo'   sembrare 
addirittura  che  circolassero  in un  primo  tempo  anonimi 
(almeno  alcuni  di  essi) e successivamente si  sia  voluto 
trovare per loro un autore.   
     Questo   e'  pensabile,   per  esempio,   nei  riguardi 
dell'omelia crisostomica sulla Cananea,  la cui attribuzione 
ad  Eusebio e' semplicemente incredibile,  ma si spiega  con 
l'accenno iniziale alla Chiesa e alla sua storia,  e  dunque 
presuppone  in chi ha concepito tale attribuzione una  certa 
cultura. 
     E'  anche  pensabile  che  per lo  piu'  queste  omelie 
circolassero gia' in greco in raccolte antologiche con  poco 
chiare  indicazioni  di  autore (cf.  quanto  abbiamo  detto 
sopra),  e  che questo abbia avuto le sue conseguenze  nella 
tradizione copta.  
     (2)  Il secondo motivo che ci induce a pensare  che  la 
persona  dell'autore avesse poca importanza e' il fatto  che 
gli  autori  egiziani,  ed  in  primo  luogo  i  vescovi  di 
Alessandria,  non solo non siano privilegiati, ma anzi siano 
stati   nettamente  sfavoriti  nella  scelta  nei  confronti 
soprattutto dei padri cappadoci.  Quando noi constatiamo che 
della  polemica contro Nestorio sono state scelte  piuttosto 
omelie  di Proclo che di Cirillo dobbiamo concludere  che  i 
testi valessero per se' e non per il nome dell'autore. 
     Si  noti  che  la prefenza sara' andata ai  testi  piu' 
popolari,  non  a  quelli  migliori  teologicamente  o  piu' 
autorevoli.  Anche  a  Giovanni Crisostomo e'  riservato  un 
posto  cosi'  ampio  rispetto  agli  altri  autori  - tenuto 
oltretutto conto della sua controversia con Teofilo - che la 
ragione  puo'  essere  solo  dovuta  alla  sua  grande  fama 
letteraria,  che  aveva  sparso suoi testi  su  scala  molto 
vasta, invadendo anche l'Egitto. 
     Questo  ci  da' un altro criterio secondo  cui  avranno 
lavorato  i  traduttori:  essi cioe' sembrano aver preso  (o 
scelto)  da  cio'  che offriva il  mercato  "normale"  delle 
edizioni  gia'  in greco"  mercato che era  pero'  piuttosto 
quello  di  livello popolare che non  ufficiale  (scelta  di 
pseudo-crisostomi etc. invece di opere di prima qualita').
9. Traduzioni agiografiche del periodo "classico".
     Venendo  ora alle traduzioni agiografiche,  i  problemi 
che  esse  pongono  sono simili a  quelli  delle  traduzioni 
omiletiche  (riconoscere  le  vere traduzioni  dalle  false" 
identificare gli eventuali criteri di scelta),  ma il metodo 
per  risolverli  e' alquanto differente,  ed e'  in  stretta 
connessione   con  le  con  le  opinioni  circa  la   stessa 
agiografia greca.
     Noi accetteremo, prima di tutto, alcuni punti stabiliti 
dal   DELEHAYE  <21>:   I  testi  agiografici   copti   sono 
strettamente dipendenti da quelli greci,  non solo nel senso 
che  ne sono traduzioni,  ma anche nel senso che i  principi 
ispiratori  del  lavoro  agiografico da parte  delle  scuole 
greche rimase alla base anche di quelle copte.
     Nell'agiografia   greca  possiamo  distinguere   alcune 
passioni basate su racconti originali, da quelle (assai piu' 
numerose),  costruite  praticamente  dal  nulla,  secondo  i 
canoni di un genere letterario di moda durante il IV secolo. 
Sembra che Alessandria, sebbene non fosse la culla di questo 
genere  letterario,  fosse  tuttavia  il maggior  centro  di 
produzione.
     Percio' le passioni del "genere epico" (come lo chiamo' 
il   Delehaye)   erano   diffuse   in   Egitto   prima   del 
consolidamente   e   della  diffusione   della   letteratura 
patristica  in lingua copta.  La scuola egiziana che operava 
in  lingua  greca  non  compose  solo  passioni  di  martiri 
egiziani,  ma anche di amrtiri stranieri, che erano popolari 
in Egitto.
     Questi  testi  furono  immediatamente  disponibili   ai 
traduttori  copti,  e rappresentarono un modello imitato poi 
dai  successivi autori copti originali.  Questo  modello  e' 
stato accuratamente analizzato dal BAUMEISTER <223/4 nella sua 
forma "finale" (cioe' che si trova nei manoscritti del IX-XI 
sec.) del "koptischer Konsens". 
     Si tratta dello sviluppo in narrazioni simili del  tema 
tipicamente  egiziano della "vita indistruttibile",  che  si 
trova in un gran numero di passioni copte. Il Baumeister non 
distingue  tuttavia il "modello" dai testi in cui si  trova. 
Occorre  invece  tener  presente  che,   se  il  modello  e' 
sicuramente  frutto di una elaborazione copta a partire  dal 
genere  "epico""  i testi in cui si trova possono avere  una 
piu'  lunga storia davanti a se',  cosicche' la presenza del 
modello del "koptischer Konsens" rappresenta solo un  ultimo 
stadio redazionale.
     Ecco  dunque  la  possibile  linea  di  sviluppo  delle 
traduzioni agiografiche copte <23>.  Vi sono prima di  tutto 
le  traduzioni  di originali greci a loro volta derivati  da 
atti  di  processi  ufficiali:  in  particolare,  la  Passio 
Colluthi  e la Passio Psotae,  nella loro  redazione  breve, 
primitiva.
     E'  interessante  notare come ambedue  queste  passioni 
hanno  generato  piu' tardi una redazioni  piu'  lunga,  del 
genere del "koptischer Konsens",  scritta originariamente in 
copto,   testimoniando  cosi'  l'evoluzione  dell'agiografia 
egiziana.
     Vi  sono  poi i testi del periodo quando la  scuola  di 
lingua greca aveva standardizzato il genere "epico",  ancora 
non  amplificato  in  quello del  "koptischer  Konsens".  In 
questo  periodo si nota gia' la tendenza alla  creazione  di 
cicli,  che sara' una delle caratteristiche principali della 
scuola copta originale piu' tardiva.
     Abbiamo  cosi'  il ciclo del persecutore e poi  martire 
egli stesso Ariano,  prefetto della Tebaide"  e il ciclo dei 
martiri giulianei.  Altre passioni invece sono  individuali, 
ma sempre costruite secondo il genere epico (Epimaco,  Mena, 
Giacomo Persiano,  Leonzio di Tripoli, Mercurio, Pantaleone, 
Eustazio, Ciro e Giovanni, i 40 martiri di Sebaste).
     Altre passioni delle stesso genere sono particolari per 
avere connotazioni tipicamente egiziane, e non se ne conosce 
l'esemplare  greco.  Tuttavia crediamo che sia esistito:  si 
tratta  dei  martiri Gioore,  Herai,  Dios.  Vi  sono  anche 
passioni di martiri-monaci,  che testimoniano l'unione della 
scuola  agiografica  con il movimento  monastico  del  Medio 
Egitto (cf.  sopra,  p. *7) Papnute, Pamin, Pamun e Sarmata, 
Panine e Paneu.
     Un accenno merita infine un gruppo di testi,  che e' un 
po' a mezzo fra la patristica e l'agiografia, e che certo fu 
tradotto  in questo periodo:  la vita di Antonio scritta  da 
Atanasio" la vita di Gregorio Taumaturgo scritta da Gregorio 
di  Nazianzo"  le  vite  di  Paolo  e  Ilarione  scritte  da 
Gerolamo"  la vita di Epifanio di Salamina attribuita al suo 
discepolo Polibio"  la vita di Simeone stilita attribuita al 
suo  discepolo  Antonio"  ed anche gli Apophthegmata  Patrum 
nella forma della Collezione Sistematica.
10. Distacco dalla cultura greca.
     Con  la  crisi calcedonense,  i cui  effetti  si  fanno 
sentire  dal nostro punto di vista soprattutto a partire dal 
VI secolo,  nasce la vera Chiesa copta,  distinta da  quella 
che  era  la  Chiesa egiziana come parte  del  Cristianesimo 
internazionale.
     In questo periodo si collocano due fenomeni che  sembra 
abbiano portato al troncamento del lavoro di traduzione. (1) 
Il  rafforzamento e la diffusione dell'attivita'  letteraria 
originale in lingua copta, secondo l'esempio di Shenute. (2) 
La  scissione  della tradizione letteraria copta  da  quella 
greca internazionale.
     Il  greco comincio' piano piano ad essere sentito  come 
la lingua degli oppressori,  e la cultura teologica in greco 
(ormai  quasi esclusivamente calcedonense) divenne sospetta. 
Percio'   fu  necessario  costruire  una  cultura   ed   una 
letteratura tipicamente copte, sia storiche che spirituali.
     La  questione linguistica non fu probabilmente cruciale 
fin dal principio" fu piuttosto un processo storico naturale 
che  porto'  dall'opposizione alla produzione  piu'  recente 
proveniente  da Costantinopoli,  all'opposizione alla lingua 
greca in se'.
     Percio'  per i testi egiziani di  questo  periodo,  che 
abbiamo  solo  in  copto,  non  e' mai  possibile  avere  la 
sicurezza  che  siano originali  o  tradotti.  E'  possibile 
pensare che quelli di ambiente alessandrino (come p.  es. la 
seconda  parte  della Storia Ecclesiastica e  le  collezioni 
degli  Atti  dei  Concilii) siano stati  scritti  in  greco" 
quelli  di  ambiente monastico della Valle  del  Nilo  siano 
stati scritti in copto <24>.
                                             Tito ORLANDI


                          N O T E 

1.   Cf.  W.-P.  FUNK,  "Polis,  polites"  und "politeia" im 
koptischen.  Zu einigen Fragen des einschlagigen  koptischen 
Lehnwortschatzes,  in:  E.  CH. WELSKOPF (ed.) Die Fortleben 
altgriechischen sozialer Typenbegriffe...  2.  Teil,  Berlin 
1982,  p. 283-320 (v. p. 283). - Lo stato dei fatti e' pero' 
forse da rimettere in discussione: cf. E.A. REYMOND, Demotic 
Literary Works of Graeco-Roman Date in the Rainer Collection 
of  Papyri  in  Vienna,  in:  AA.VV.,Festschrift...  Papyrus 
Erzherzog Rainer, Wien 1983, p. 42-61.
2.   La questione e' spesso affrontata, ma da punti di vista 
parziali,   e   manca   una   trattazione   sufficientemente 
approfondita.  Le piu' significative ci sembrano:  G. BARDY, 
La question des langues dans l'eglise ancienne,  Paris 1948, 
p.  38-52"  G.  STEINDORFF, Bemerkungen uber die Anfange der 
koptischen Sprache und Literatur, in: AA.VV., Coptic Studies 
in Honor of W.E.  CRUM,  Boston 1950, p. 189-214. R. KASSER, 
Les origines du Christianisme egyptien,  R.Th.Ph.  1962,  p. 
11-28.
3.  E' questo un punto particolarmente controverso: cf. L.Th. 
LEFORT,  A propos de syntaxe copte:  "tare mare mprtre", "Le 
Museon" 60 (1947) 7-28" H.J. POLOTSKY, Modes grecs en copte, 
in:  AA.VV.,  Coptic Studies in Honor of W.E.  CRUM,  Boston 
1950, p. 73-91. Anche qui pero' i punti di vista sono spesso 
parziali.  Altracosa e' l'influsso del greco sulla lingua in 
se',  altra l'influsso sull'aspetto letterario della lingua. 
Sul vocabolario cf. di nuovo FUNK (cit. n. 1).
4.  Altre letterature sono piu' fortunate: si pensi a quella 
siriaca o a quella armena.
5.  P.E. KAHLE, Bala'izah, London 1954, p. 269-278.
6.   C.H.  ROBERTS,  Manuscript  Society and Belief in Early 
Christian Egypt, Oxford 1979.
7.  Ci basiamo qui sulla nostra analisi: Gli apocrifi copti, 
"Augustinianum" 23 (1983) 57-72. Ivi bibliografia.
8.  Cf. quanto detto a p. *2 (e sotto, p. *5).
9.  T. ORLANDI, Patristica copta e patristica greca, "Vetera 
Christianorum" 10 (1973) 327-341"  id., Omelie copte, Torino 
1981, Introduzione.
10. Cf. J.B. LIGHTFOOT, The Apostolic Fathers, Part II, Vol. 
II, London 1889, p. 126-128.
11. Cf. soprattutto STEINDORFF, cit. n. 2.
12.  In corso di stampa nel volume Pachomiana Coptica  (Roma 
1984?).
13. ** SPAZIO PER UN TITOLO DA CONTROLLARE **
14.   Cf.  gia'  J.  LEIPOLDT,   Geschichte  der  koptischen 
Litteratur,   in:  C.  BROCKELMANN  (etc.),  Geschichte  der 
christlichen  Litteraturen des Orients,  Leipzig 190* (rist. 
1911; 1978), p. 131-182.
15. Cf. KAHLE, op. cit. (n. 5), p. 14.
16. Cf. nota 9.
17.  Per le edizioni dei testi ed eventuali notizie critiche 
ci limitiamo (per motivi di spazio) a rimandare alla  Coptic 
Bibliography,  Roma  (edizione annuale comprendente tutti  i 
titoli  apparsi  precedentemente),  a  cura del  Corpus  dei 
Manoscritti Copti Letterari (dir. T. Orlandi).
18.  Interessanti eccezioni sono le due opere di Gregorio di 
Nissa,  a proposito delle quali cf.  T. ORLANDI, Gregorio di 
Nissa  nella letteratura copta,  "Vetera  Christianorum"  18 
(1981) 333-339.
19. Cf. nota 9.
20.  J.  GRIBOMONT,  Les succes litteraires des Peres grecs, 
"Sacris Erudiri" 22 (1974/5) 23-49.
21.   H.   DELEHAYE,   Les   martyrs   d'Egypte,   "Analecta 
Bollandiana" 40 (1922) 5-154, 299-364.
22. Th. BAUMEISTER, Martyr Invictus, Munster 1972.
23. Di nuovo per la bibliografia rimandiamo all'opera cit. a 
n. 17.
24.  A.  CAMPAGNANO,  Monaci  egiziani  fra V e  VI  secolo, 
"Vetera Christianorum" 15 (1978) 223-246.