Tito ORLANDI Chiesa Copta -- per Theologische Realenzyklopädie Secondo l'etimologia oggi più accettata, il termine "copto" è l'europeizzazione del vocabolo arabo Qubti- Qibti (variamente vocalizzato), a sua volta derivato dal greco "aiguptios", che riproduceva uno dei nomi dell'Egitto nella lingua autoctona. Il passaggio è avvenuto attraverso il latino umanistico "cophti, cop- htitae". Gli arabi usarono inizialmente questo termine per desi- gnare gli abitanti autoctoni dell'Egitto conquistato, in contrapposto ai "Rum", cioè ai greci-bizantini. Il termine non aveva dunque in sè connotazione religiosa. Dal punto di vista religioso la denominazione più co- mune era di "melchiti" per i cristiani in comunione con Costantinopoli, in contrapposto a "giacobiti" (dal nome di :Giacomo Baradeo) per i "ribelli" anti-calcedonensi. Questi designavano se stessi (se necessario) piuttosto col termine di "teodosiani", dal nome del patriarca :Teodosio di Alessandria, che aveva incaricato Giacomo Baradeo di riorganizzare la Chiesa anti-calcedonense in crisi (cf. sotto). Nei secoli successivi queste distinzioni vennero a perdere chiarezza e attualità. Gli europei dal XVII sec. in avanti riprodussero il tardo uso locale di chiamare "copti" la minoranza cristiana egiziana, in contrapposto ai musulmani, e dunque Chiesa copta quella a cui essi aderivano. Essendosi formate ulteriori divi- sioni dovute ai contatti con le Chiese europee (copti "cattolici"; copti "evangelici"; etc.), il nome con cui la Chiesa copta tradizionale preferisce oggi chiamarsi è quello di "Chiesa Copta Ortodossa". I limiti storico-cronologici del fenomeno "Chiesa cop- ta", non potendo coincidere con quelli della sua deno- minazione, diventano un problema che viene risolto in modi diversi. I copti stessi pongono la fondazione della propria Chiesa all'epoca della (supposta) predi- cazione di Marco evangelista ad Alessandria. Ma per quanto riguarda una delimitazione del campo di studio, la critica occidentale per lo più considera lo sviluppo del cristianesimo egiziano almeno fino al Concilio di :Calcedonia (450) come parte della storia generale del cristianesimo (:Aegypten, Kirchengeschichtlich). Alcuni dunque considerano il 450 come limite cronologi- co iniziale della Chiesa copta. Ma poiché almeno fino a Giustiniano (ca. 550) il distacco dalla Chiesa bizanti- na non fu sentito come definitivo, è forse più corretto assumere come inizio il momento in cui :Giacomo Baradeo provvide a ristrutturare la Chiesa cristiana anti- Calcedonense d'Egitto in grave crisi (543 sgg.). Gli studiosi sono comunque in accordo nel chiamare "copta" la Chiesa egiziana a partire dall'epoca della conquista araba. E' lecito parlare di una fondazione culturale della Chiesa copta. Infatti anche prima del distacco formale dalle Chiese che formularono e acquisirono le decisioni di Calcedonia, la Chiesa egiziana presentava alcuni tratti e fenomeni particolari che vengono generalmente riconosciuti come "copti" (o specificamente egiziani) dagli storici, e ritenuti come patrimonio proprio es- senziale dalla stessa cultura copta. Uno di questi è la struttura rigidamente monocratica della gerarchia ecclesiastica, col potere accentrato totalmente presso il vescovo di Alessandria. Essa viene comunemente paragonata all'organizzazione dello stato faraonico, e spesso il vescovo di Alessandria è stato considerato l'erede dei faraoni. Il grande :Atanasio fu soprattutto considerato dai copti come rappresentante di tale concezione, per la fermezza con cui seppe far valere la propria posizione (identificata con quella dell'Egitto), e per la forza con cui si oppose al potere politico in nome della convinzione religiosa. Altro elemento è il movimento monastico. Esso, iniziato in Egitto, divenne ben presto fenomeno internazionale, e come tale non si può definire copto, nel complesso, nemmeno il monachesimo egiziano. Ma è indubbio che certi elementi culturali e spirituali presso alcune comunità siano da considerare fra i fondamenti su cui in seguito poggerà la Chiesa copta. Il nome che rias- sume quegli elementi è :Shenute, il grande archimandri- ta che porterà la lingua estremo-egizia (sia pure fram- mista al greco), quella appunto che viene chiamata "copta", a livelli letterari di grande dignità, e dun- que porrà le basi della letteratura copta, e nello stesso tempo, agendo sempre in completo accordo coi patriarchi di Alessandria, darà un saldo indirizzo etico, pragmatico, e in parte dottrinale, alle comunità cristiane del Basso Egitto. Saranno proprio queste comunità a rappresentare il punto di forza della Chiesa "teodosiana" nei confronti dei Calcedonensi. Da Calcedonia all'invasione araba. La Chiesa copta è dunque il risultato di un complesso susseguirsi di eventi storici, che agiscono su strutture mentali e spirituali preesistenti. Gioverà ricordarli succinta- mente. Dopo il rifiuto da parte del patriarca :Dioscoro (444- 454) di accettare le risoluzioni del Concilio di Calce- donia, in un primo tempo sia gli egiziani(-alessandri- ni) sia l'impero speravano di poter addivenire ad un accordo. Il seggio di Alessandria fu conteso spesso da due o più vescovi, consacrati dai diversi partiti, ma nel complesso si cercava di evitare una netta divisione di organizzazione ecclesiastica. Gli stessi anti-calcedonensi conobbero al loro interno molti dissensi. Quando l':Henotikon di Zenone fu accet- tato da Pietro Mongo (477-490), molti non furono con- vinti, e si formò il partito degli akephaloi, che non riconoscevano alcun vescovo ad Alessandria. Un'altra divisione si formò a causa di differenti opi- nioni teologiche ad Antiochia, fra :Severo e :Giuliano, ma ebbe presto riflessi sulla situazione egiziana. Infatti dopo la fine dello :scisma acaciano (Antiochia, 519) l'imperatore Giustino perseguitò i monofisiti di Siria ma non (ancora) quelli d'Egitto, per cui molti siriani (fra cui appunto Severo e Giuliano) si rifugia- rono in Egitto. Qui ambedue i teologi trovarono adepti. La discordia divenne politica al momento della succes- sione di Timoteo III (535), contesa fra Teodosio (seve- riano) e Gaiano (giulianista). Il primo prevarrà, con l'aiuto dell'imperatore, ma si formerà il partito dei Gaianiti, che non ne riconosceranno l'elezione. Dopo le persecuzioni di Giustiniano (527-565) e grazie anche all'opera di Giacomo Baradeo (che riuscì a met- tere riparo dopo il periodo di cosiddetta anarchia seguita alla morte del patriarca Teodosio, 566) la Chiesa "copta" comprese di dover ormai contare solo sulla sua capacità di sopravvivere e darsi ordinamento e vita autonome. In questo periodo molta importanza ebbe l'opera dei monaci, ed in particolare di alcune figure che, comple- tamente dimenticate dalla tradizione in lingua greca (anche anti-calcedonense), sono celebrate in una serie di testi in copto. Alcuni di essi (Abraham, Apollo, Manasse) rappresentarono la resistenza anti-calcedonen- se in seno ai Pacomiani, che nella loro struttura ufficiale furono costretti a schierarsi con la Chiesa imperiale. Essi dovettero abbandonare i loro monasteri e ne fondarono degli altri, che divennero il centro della resistenza teodosiana. Questi monasteri riconob- bero probabilmente come loro punto di riferimento il monastero fondato da Shenute, e da questo momento i pacomiani diventeranno estranei alla Chiesa copta. Verso la fine del VI sec. la situazione della Chiesa copta migliorò sensibilmente. Il patriarca Damiano (578-605; di origine siriana) poté agire e muoversi con una certa libertà, e ne approfittò per riportare ordine nella gerarchia e serenità nell'attività normale della Chiesa. I rapporti con Antiochia rimanevano molto stretti ma tormentati. A complicarli venne la disputa "triteita", nata dalle teorie di Giovanni "Askoutzanges" (siriano di Apamea) che identificando aristotelicamente i termi- ni di hypostasis e di physis attribuiva alla Trinità tre nature distinte. A tali teorie aderirono molti gruppi anche monastici, e una grossa personalità ales- sandrina, lo studioso aristotelico :Giovanni Filopono. L'eresia triteita era stata denunciata a suo tempo da Teodosio in uno scritto che rimase fondamento della dottrina trinitaria della Chiesa copta. Damiano la contrastò con energia, a costo di nuovi dissensi con Antiochia, che durarono per molto tempo. Gli archivi di due vescovi (Abraham di Hermonthis, attivo 584-624; Pisenzio di Keft, m. 631) largamente conservati, ci permettono di conoscere la vita della Chiesa copta in questo periodo. I vescovi erano scelti fra i monaci, e per lo più non risiedevano nel capoluo- go del vescovado, ma in un monastero, di cui erano anche hegoumenoi. Essi erano capi assoluti di tutto il clero e i monaci del distretto, che governavano seguen- do i Canoni riconosciuti dal patriarcato alessandrino (teodosiano), considerati come scrittura ispirata. Essi nominavano il loro successore. Ordinavano i presbiteri, che dovevano avere una certa cultura (conoscere un Vangelo a memoria etc.), osservare i digiuni e le veglie prescritte, astenersi dal commercio e dall'usu- ra. Sorvegliavano la correttezza delle cerimonie litur- giche; provvedevano personalmente a celebrare i batte- simi, e per questa cerimonia particolarmente importante restano numerose omelie copte. Si occupavano anche di questioni civili: direttamente, se toccavano anche la vita cristiana (la scomunica era anche per le conse- guenze civili una punizione assai grave); altrimenti di concerto con i magistrati, che consideravano con grande rispetto l'autorità dei vescovi, in ciò incoraggiati da decreti imperiali (Novellae 86 e 123). Oltre che per le cure spirituali, si ricorreva al vescovo (soprattutto se in fama di santo, e dunque di taumaturgo) spesso anche per malattie o per soccorsi di carattere mondano. In questa stessa epoca la Chiesa copta, per effetto della relativa tranquillità di cui godette, e del tra- monto dell'illusione di potersi riunire un giorno (alle sue condizioni) alle Chiese calcedonensi, conobbe una florida stagione culturale autonoma. La lingua copta, che con la sua commistione di elementi egiziani e greci era stata piuttosto un fenomeno artificiale che espressione popolare, si afferma come veicolo ovvio di comunicazione, sia al livello letterario che a quello delle attività quotidiane. Ciò è attestato da un lato da parecchie opere (di solito sotto forma di omelie) scritte in questo periodo da autori come Pisenzio di Keft, Costantino di Siout, Giovanni di Paralos, Rufus di Shotep; dall'altro dai documenti privati su papiro e ostraca pervenuti in gran numero. Le omelie scritte in copto erano destinate a sostituire la corrispondente letteratura dei Padri greci, fino allora usata nelle opportune occasioni liturgiche. Occorre tuttavia tener presente che il greco conservò sempre grande importanza anche in ambiente copto. Le persone colte erano solitamente bilingui, e la futura cultura teologica in lingua araba si riallaccerà alla tradizione in greco piuttosto che a quella in copto, da cui era assente appunto tutta la parte speculativa. Organizzazione amministrativa. Come era accaduto duran- te l'occupazione persiana, gli arabi inizialmente man- tennero nel complesso quella bizantina, ed anche il personale che la gestiva proveniva dalla popolazione locale. Vennero però sovrapposti dei magistrati arabi per le diverse necessità. Al di sopra di tutti, con potere assoluto, l'amir (governatore, rappresentante del Califfo); alle sue dipendenze un capo militare; un kadi per la giustizia; un tesoriere per la finanza. Si deve anche tener conto del fatto che mentre i magistra- ti arabi cambiavano continuamente, i copti erano stabi- li. Una riorganizzazione che permettesse agli arabi di controllare più efficacemente la situazione amministra- tiva comincia con gli omayyadi di Damasco, dal 661. Con essa cominceranno anche le prime reazioni copte (cf. sotto). Nel 730 venne effettuato un censimento generale per evitare il fenomeno di spostamenti di località o fughe al fine di non pagare le tasse. Per cambiare residenza era comunque necessario un passaporto. Nei primi 100 anni della dominazione il personale ammi- nistrativo era tutto copto. Gli arabi non erano all'al- tezza del compito, e del resto non si fidavano recipro- camente. Anche nei periodi successivi, e fino al secolo scorso, in condizioni talora buone, talora drammatiche, i funzionari amministrativi erano per lo più copti. La tassazione e i suoi problemi. Il tributo rappresen- tava il cardine dei rapporti fra conquistatori e sog- getti. Inizialmente la tassazione non dovette essere molto pesante, probabilmente minore che sotto il domi- nio bizantino, con la differenza che molta parte dei proventi usciva dall'Egitto. Vi era una tassa personale (da cui erano esclusi il clero e i monaci) ed un'impo- sta sul terreno. Si hanno anche notizie sporadiche di altre esazioni straordinarie di vario tipo. Il patriarca Giovanni III (680-689) fu costretto a pagare una grossa somma; e probabilmente ogni elezione di un nuovo patriarca dove- va essere accompagnata da una donazione all'amir. Più tardi questo darà luogo addirittura all'"acquisto" della carica. Ca. dal 700 anche i monasteri, che prima erano esenti, furono sottomessi al pagamento delle tasse (ma in misura minore). Il clero in generale era esente. Nell'868 l'amir Ahmad b. al-Mudabbir raddoppiò le tasse e tolse l'esonero a clero e monaci. Ma Ahmad b. Tulun, che lo sostituì e imprigionò, migliorò la situazione dei copti. In seguito anche questo problema seguì le varie vicende dei rapporti religioso-civili fra musulmani e copti. Rapporti religiosi. Sembra che nei primi tempi gli arabi non si rendessero ben conto del gioco delle diverse Chiese cristiane in Egitto. Giovanni di Nikius (trad. Charles p. 193) deplora che dopo la conquista Amr abbia nominato magistrati calcedonensi. Comunque poco dopo la conquista, con l'intervento di una delega- zione copta che si era recata da Amr per ottenere il rientro di Beniamino, vennero assegnate ai teodosiani le chiese di Alessandria e altrove di cui disponevano prima i melkiti. I copti furono riconosciuti come una "nazione" (millah) ed il patriarca copto come il loro capo civile. Si perpetua la commistione bizantina fra potere religioso e civile. Per questo è importante seguire i rapporti sociali ed economici insieme con quelli religiosi. Nel 725 i copti si possono calcolare a 5 milioni. Gli arabi erano un'infima minoranza che viveva nelle (talo- ra presso) le città più importanti. Il loro numero, prima che iniziasse il fenomeno delle conversioni, aumentava soltanto perché i nuovi amir arrivavano ac- compagnati dai propri eserciti, la cui consistenza variava dai 6000 ai 20000 uomini. Accadeva anche che tribù arabe si trasferissero al completo in Egitto, dando poi luogo a disordini e tumulti. Sotto omayyadi e abbasidi la libertà di culto fu com- pleta, ma controllata. Dovevano essere tradotte le preghiere e la liturgia per assicurare che non conte- nesse frasi che i musulmani non potessero permettere. La nomina dei patriarchi e dei vescovi doveva essere sottoposta all'autorizzazione dell'emiro. Di Beniamino è nota la raccolta delle Lettere Festali, mentre ciò non accade per i predecessori. Questo è probabilmente dovuto alla riacquistata liberà. Nel 695 si contano 70 diocesi, delle 100 che sembra esistessero nel IV sec. e fino all'inizio del VII sec. Nel XIV sec. diventeranno 40. Diminuiranno poi fino a 25, mentre oggi sono 41. Nel 718 l'amir Kurra ibn Sarik depreda le chiese e cerca di islamizzare i funzionari. Era evidentemente iniziato il periodo di rapporti dif- ficili fra islamici e copti, che dette luogo a vere e proprie rivolte, su cui non si hanno tuttavia notizie dettagliate. Esse erano in realtà spesso un riflesso di discordie interne agli arabi. 6 insurrezioni dal 725 al 773 (in corrispondenza del cambiamento a Damsco fra califfi omayyadi e califfi abbasidi); più grave quella cosiddetta bashmurita (829-830), tipicamente unita a turbolenze arabe, sotto il califfo al Mamun. Pochi sono i martiri degli arabi inseriti nel sinassario. Da ri- cordare Giovanni di Fanijoit, martirizzato sotto al Malik al Kamil (1218-1238), perché su di lui è stato scritto uno degli ultimi testi della letteratura copta. Gli storici alludono variamente a regolamenti discrimi- natori per i cristiani. Nel 689/90 sembra che per la prima volta si diano disposizioni contro i cristiani. Essi dovevano portare segni di riconoscimento; gli emblemi fuori dalle chiese dovevano essere distrutti. I decreti tuttavia cadevano probabilmente in desuetudine, e dopo qualche tempo tutto si risolveva col pagamento di somme per ottenere eccezioni ed esenzioni. Del resto la prassi politica musulmana sembra essere in questo abbastanza contraddittoria nel tempo. Si ha notizia di rinnovi dei decreti nel 713/4 e ancora nel 722/3. Sotto Harun el Rashid 790 si impongono di nuovo e con maggior severità segni distintivi. Regole più strette vennero introdotte nell'850, sotto il califfo al Mutawwakkil: vesti distinte, segni sulle abitazioni, divieto di mostrare croci in pubblico, divieto di montare cavalli. Un problema particolare riguarda la conservazione e (ri)costruzione degli edi- fici di culto. Sembra che gli storici islamici tendano a retrodatare i provvedimenti al riguardo, e che fino all'VIII non fosse vietata la costruzione di chiese. Poi si arrivò a impedire la costruzione di nuove (p.es. editto di Mutawakkil ca. 850), la restaurazione delle antiche, e anche alla distruzione (in momenti di perse- cuzione). Quanto al fenomeno delle conversioni, spontanee o impo- ste (la Storia dei Patriarchi allude a conversioni a partire ca. dal 760 - p. 370), nei primi due secoli i convertiti restano musulmani di seconda categoria. Tuttavia, essendo di cultura di solito superiore ai dominatori, esercitarono un influsso sulla stessa dot- trina islamica. Sembra che una quantità imponente di convertiti si abbia solo col X sec.; e che la conver- sione in massa si effettui sotto i mamelucchi (dopo il XIII sec.). Ibn Tulun (868-883) instaura un clima di tolleranza per i cristiani; tuttavia tratta severamente i patriarchi Shenuda I (859-880) e Khail III (880-890). Anche sotto i Fatimidi continuano buoni rapporti. Soprattutto Al 'Aziz è grande amico dei cristiani. Nomina viceré di Siria un copto, Quzman ibn Mina. Fanno eccezione: il periodo terribile di al Hakim e il periodo finale di transizione con gli Ayubidi, quando di nuovo furono emessi decreti sui distintivi, tasse etc. e iniziarono conversioni numerose. Quella di al Hakim (996-1021) fu una vera persecuzione, condotta con determinazione e ferocia, ma concepita dalla mente di una persona non equilibrata. In effetti anche le regole imposte ai sudditi arabi erano estremi- ste, e anche i giudei furono perseguitati. Ai cristia- ni, a parte il rinnovarsi dell'obbligo di portare di- stintivi umilianti, fu proibito di avere schiavi, furo- no confiscati beni delle Chiese, furono effettuate distruzioni di chiese e conventi. Tuttavia verso la fine della vita lo stesso al Hakim mutò atteggiamento, tanto da trattare i cristiani meglio degli stessi mu- sulmani. Sotto Salah ed Din (1174-1193) i cristiani soffrirono in un primo tempo per i sospetti circa possibili collu- sioni coi crociati. Gli si vietarono le professioni di segretario (funzionario pubblico) e di medico. Tuttavia continuarono ad essere impiegati anche a corte. Quando poi i sospetti si rivelarono infondati, i rapporti ritornarono buoni. Iniziò così il periodo migliore, sotto l'aspetto culturale, della Chiesa copta, che vide il fiorire di insigni teologi, scienziati e grammatici (cf. sotto). Tutto questo finì quando sopraggiunse il dominio mamelucco. Esso per un certo tempo mantenne in Egitto una buona prosperità economica, ma il trattamen- to dei cristiani fu molto duro. Funzionari copti furono ancora impiegati per i compiti finanziari, ma la loro posizione era estremamente precaria. Appena assumevano qualche importanza, venivano spogliati ed estromessi. Rapporti coi melkiti. Dopo l'invasione araba, e la morte di Ciro, Costantinopoli nominò un patriarca, Pietro, ma poi la sede restò vacante fino al 742, quando fu nominato un titolare. I vescovi nominati da Costantinopoli non riuscirono comunque a risiedere ad Alessandria. Tuttavia i melkiti potranno sopravvivere anch'essi come comunità, e dal 727 furono riconosciuti come nazione. Essi daranno vita ad una cultura abba- stanza vivace, tanto che forse saranno essi a comin- ciare a produrre una letteratura in arabo . La Storia dei Patriarchi menziona un concilio dei melkiti ca. 760 (p. 357), e nel riportare la disputa a proposito del- l'importantissimo santuario di Mena (presso Alessan- dria), che essi rivendicavano, li dipinge come una comunità ancora vivace e potente. E' difficile dire se in quell'epoca essi si distinguessero ancora come greci (etnicamente o linguisticamente) o fossero del tutto assimilati ai copti. Sulla vita interna della Chiesa copta le informazioni sono assai scarse, soprattutto per i secoli VII-VIII, per i quali la fonte sostanzialmente unica, la Storia dei Patriarchi, tende a privilegiare le notizie sui rapporti con gli arabi, e fra esse quelle relative alla tassazione. Fino a quando continuò una produzione let- teraria in copto (IX sec.), le omelie di Beniamino, Agatone (patriarca 662-680), Giovanni III (patriarca 680-688), Mena di Nikius (ca. 700), Zaccaria di Shkow (ca. 715) ci testimoniano da un lato i rapporti sostan- zialmente buoni con gli invasori, e del resto il fatto che essi rappresentino un problema secondario; dall'al- tro la vita tranquilla di una Chiesa alle prese con i normali problemi quotidiani di morale e di spirituali- tà. Dalla Storia dei Patriarchi sembra di poter capire che per parecchio tempo un punto dolente furono i gruppi cristiani non allineati con il patriarca giacobita: oltre ai melchiti sono spesso nominati i gaianiti e (stranamente) i barsanufiani. Altri testi ci provano che continuavano a resistere anche gruppi autonomi di meliziani. Soltanto dal IX secolo si attuò l'unità della Chiesa, in particolare col riassorbimento degli acefali, e anche i rapporti coi siriani diventarono buoni. Dall'VIII sec. si diffuse l'uso di acquistare le cari- che ecclesiastiche per denaro. Questa rimarrà una ca- ratteristica (pur talora combattuta) della Chiesa cop- ta, derivata evidentemente dalla confusione fra potere civile ed ecclesiastico (già forte sotto i bizantini, e sistematizzata dagli arabi che non facevano per conto loro tale distinzione). Le cariche ecclesiastiche por- tavano vantaggi economici e potere sociale. Venivano pagati gli elettori del patriarca ed il Califfo, poi si vendevano i vescovadi per sopperire alle perdite. Christodoulos (1046-1078) portò la residenza del pa- triarca al Cairo, in omaggio ai Fatimidi che avevano fondato la nuova capitale, e quasi come segno della rinuncia ai rapporti mediterranei per privilegiare quelli africani. In effetti Christodulos fu imprigiona- to da Yazuri per sospetto di aver complottato con la Nubia. Egli pubblicò importanti Canoni su matrimonio, sacramenti, consacrazioni etc. Sotto Cirillo II (1078- 1092) molti armeni si trasferirono in Egitto e si instaurò un'intesa con la chiesa armena. Sotto Giovanni V (1146-1164) è da segnalare una controversia relativa al sacramento della confessione, che i copti avevano preso l'abitudine di fare silenziosamente in comune. Fra il 1174 e il 1208 Markus ibn Qanbar, di origine antiochena, cercò di effettuare una riforma su questo tema, riguardante anche la liturgia, ma senza grande successo. Cirillo III (1235-1243) fu un pessimo patri- arca ma convocò un importante sinodo con canoni di riforma e produsse una collezione di canoni. Il sec. XIII è un secolo splendido per la cultura copta, ed in particolare la letteratura dei copti in lingua araba conosce il suo periodo aureo. I primi ad adottare l'arabo come lingua letteraria in ambito cri- stiano erano stati i siriani, presso i quali era assai vivo l'interesse per la filosofia e la teologia (so- prattutto da ricordare la figura di Yahia ibn Adi, n. 893, di cui sono debitori gli autori copti di questo periodo). La letteratura copto-araba è più copiosa e più varia, ma meno ricca di contenuto speculativo. Severo di Ashmunein, il primo autore conosciuto, scris- se opere di apologia, di dogmatica, di storia (anche se la sua autorità per la Storia dei Patriarchi è oggi discussa), di liturgia. Alla fine del XII sec. Markus ibn Qanbar scriverà opere di polemica ecclesiologica e di esegesi. Ma è nel sec. XIII che incontriamo un gran numero di scrittori importanti, che scrissero su nume- rosi argomenti di teologia, etica, liturgia, linguisti- ca, etc. Abu 'l Hair ibn al Taiyib scrisse un trattato di apologia dogmatica, in cui trattò anche del culto, dei sacramenti e della morale cristiana, rivolgendosi a musulmani, giudei e fatalisti. Petrus al Sadamanti scrisse sulla fede in generale e sulla Trinità; Yusab vesc. di Ahmim contro la falsificazione musulmana di dogni cristiani; Petrus Severus al Gamil sulle eresie di melchiti, latini, armeni, nestoriani, una apologia contro gli islamici, e la prima redazione del sinassa- rio, che poi fu sistemato da Michael vesc. di Atrib e Malig. Al Makin Girgis scrisse una storia che sarà la fonte principale dell'arabo Makrizi per le sue notizie sui copti; Paulus al Busi 8 omelie per le feste del Signore e un commentario sull'Apocalisse; Cyrillus ibn Laqlaq (patriarca dal 1216 al 1243) una raccolta cano- nica e trattati sulla liturgia e sul problema del sacramento della penitenza. Numerosi furono i grammati- ci, che fissarono per iscritto regole e vocabolario della lingua copta che scompariva come lingua parlata: Giovanni vesc. di Samannud (autore anche di un compen- dio teologico), Giovanni al Qalyubi, al Tiqa Ibn al Duhairi, Ibn Qatib Qaisar. Gli autori più celebri del periodo furono i tre fratel- li, figli di al Assal. Al Safi scrisse una apologia contro i musulmani e trattati sulla divinità di Cristo, sulla rivelazione del Nuovo Testamento, sulla Trinità, una raccolta di omelie ed una di canoni. Hibatallah scrisse trattati sull'anima e sull'escatologia, sul diritto matrimoniale, sul calendario, ed una grammati- ca; Abu Ishaq scrisse una summa teologica, un'introdu- zione alle lettere paoline, delle omelie in versi. Finalmente è da ricordare Abu 'l Barakat, autore del trattato forse più importante per la conoscenza della Chiesa copta, chiamato Lampe der Finsternis und Darle- gung des Dienstes. Esso è una vera enciclopedia teolo- gica in 24 libri, su tutti gli argomenti utili a clero e laici circa la fede, l'esegesi biblica, il diritto canonico, la liturgia, il culto (su tutti cf. Graf II 295-300). Col governo mamelucco inizia il periodo veramente disa- stroso per i copti. Vennero distrutti chiese e conven- ti; vi furono persecuzioni di vario tipo; di conseguen- za conversioni in massa, che determineranno la crisi definitiva (fino all'epoca moderna) della Chiesa copta. Essa si trova da ora in avanti in condizioni di pura sopravvivenza, pur contando qualche figura eccezionale. Gabriel V (1409-1427) scrisse un commento al rito e riformò i libri liturgici. In questo periodo vennero restaurati, sia pure in ma- niera discontinua, i rapporti con Roma. I Copti invia- rono una rappresentanza al Concilio di Firenze (1423), che si proponeva di riavvicinare le Chiese orientali, e da allora inviati di Roma (soprattutto gesuiti e fran- cescani) si recarono in Egitto con una certa regolari- tà. I tentativi di riunificazione fallirono sempre; dal sec. XVIII si costituì una comunità copta cattolica sotto la giurisdizione del Patriarcato copto cattolico, al Cairo. Dopo il grave periodo di decadenza, la Chiesa copta conobbe una rinascita (di cui tuttora dura la vitalità) sotto il grande patriarca Cirillo IV (1854-61). Egli fondò scuole pubbliche, anche per femmine; importò una tipografia, dando impulso alla stampa di opere della letteratura copto-araba; restaurò i rapporti con l'E- tiopia. In questo periodo cessò la tassazione tradizio- nale dei cristiani (djizya), che furono ammessi al servizio militare. Non esiste una precisa fonte esplicita che riassuma la dottrina ufficiale della Chiesa copta. Bisogna ricor- rere ai teologi enciclopedisti medievali o alle raccol- te canoniche, da cui tale dottrina si può dedurre. Il canone dei libri biblici corrisponde sostanzialmente a quello della Vulgata, salvo che comprende 3Macc. e divide in due Prov. (Abu 'l Barakat lib. VI). Oltre alla Bibbia, anche la tradizione ecclesiastica è fonte della rivelazione. Essa si manifesta soprattutto nelle decisioni dei concilii ecumenici, ed in primo luogo in quelle di :Nicea, di cui gli altri che i Copti ricono- scono (:Costantinopoli ed :Efeso) rappresentano la conferma. Inoltre: (a) nei Canoni dei sei concilii di :Ancira, :Neocesarea, :Gangra, :Antiochia (341), :Lao- dicea, :Sardica; (b) nei Canoni dei sette concilii di Cartagine; (c) in una serie di testi posti sotto l'au- torità degli Apostoli: la :Didascalia, le :Constitu- tiones clementine, le :Constitutiones apostolicae; (d) nei :Canones apostolorum; (e) in una :Epistula di Pietro a Clemente. Delle fonti della dottrina fanno parte inoltre le opere dei Padri che siano generalmente riconosciute come ortodosse, le costituzioni dei patriarchi copti, i libri liturgici. Quanto all'ecclesiologia, i Copti considerano la Chiesa come l'insieme delle Chiese particolari, ciascuna con la propria indipendenza. Considerano tuttavia partico- larmente rilevanti i quattro patriarcati tradizionali di Roma (riconosciuta come la sede di Pietro, capo degli apostoli), Alessandria (sede di Marco, portavoce di Pietro), Antiochia ed Efeso. Il dogma della Trinità è naturalmente il fondamento della dottrina. Oggi si riconosce da parte degli stori- ci che il termine "monofisita" con cui la Chiesa copta (o meglio la sua dottrina) è normalmente designata non è esatto nè accettabile, in quanto appellativo dato polemicamente dagli avversari. In realtà le distinzioni dottrinali fra aderenti e avversari del Concilio di Calcedonia sono difficilmente definibili, così come quelle fra le diverse ramificazioni degli anti-calcedo- nensi. La scissione fu dovuta più a motivi di politica ecclesiastica (autorità dei maggiori patriarcati; rela- zioni con l'impero) che a teorie incompatibili. In complesso si può dire che i Copti restarono rigidamente attaccati alla formula cirilliana dell'"una natura del Dio logos incarnata", interpretata in modo riduttivo, pur senza infirmare la realtà dell'umanità di Cristo. Una parte popolare della dottrina copta è dedicata all':angelologia, diretta discendente delle speculazio- ni mistico-magiche del IV-VII sec., presenti in parec- chi testi pervenuti anche in lingua copta. Il numero delle schiere angeliche varia da 7 a 24; gli arcangeli sono 4: Michele, Gabriele, Raffaele, Suriel, ciascuno con proprie caratteristiche e compiti (cf. Muller En- gellehre). I dogmi del peccato originale, della immacolata conce- zione (col relativo culto mariano) e della transubstan- ziazione non presentano particolarità rispetto alla comune dottrina tradizionale cristiana. Anche il culto dei santi è quello tradizionale, salvo che sono ammesse solo immagini dipinte e non statue. Molti importanti erano i pellegrinaggi ai santuari più popolari, con pratiche di devozione che comprendevano anche l'incuba- zione. I sacramenti sono i 7 tradizionali, e le rela- tive cerimonie sono regolate da una liturgia apposita. Nella sua lunga vita separata, in stretto contatto con l'Islam, la Chiesa copta ha sviluppato parecchie usanze particolari molto interessanti, che non è possibile elencare. Accenneremo tuttavia alla pratica della cir- concisione per ambedue i sessi, e ai frequenti digiuni. Liturgia. I riti e le preghiere della Chiesa copta sono raccolti nei differenti libri liturgici, a suo tempo elencati con precisione da Abu 'l Barakat (cf. Ville- court Muséon 1924) e da allora poco mutati. L'Euchologion comprende i riti della messa, in tre tipi: la messa di s. Basilio, per i giorni ordinari; la messa di s. Cirillo, per la quaresima e l'avvento (mese di dicembre); la messa di s. Gregorio, per i giorni festivi. Essi differiscono solo a partire dalla parte riservata ai fedeli (chiamata anaphora). La parte dei catecumeni è comune. Le letture bibliche da effettuare durante le messe sono raccolte in ordine di calendario nel Katameros. Il Synaxarion raccoglie i riassunti (spesso da testi copti precedenti) di vite di Santi, martirologi e altri eventi vari, disposti secondo l'or- dine delle feste del calendario per la lettura quoti- diana. Il Libro della Pasqua comprende l'ufficio per la Settimana Santa; il Pontificale comprende il rito per le consacrazioni, per i sacramenti e per l'ufficio funebre; la Psalmodia è una raccolta di inni dedicati alla Vergine e ai Santi. Vi è poi un "breviario" per le preghiere quotidiane dei preti e dei monaci. La musica liturgica riflette il modello bizantino in otto toni, e probabilmente si è mantenuta assai fedele nel tempo ai modelli antichi. Soltanto recentemente si è cominciato a dedicarle attenzione da parte di musico- logi. Situazione attuale. Per volontà politica del governo egiziano, mancano oggi dati precisi attendibili sulla consistenza della minoranza copta. La Chiesa copta dichiara ca. 9 milioni; una stima prudenziale può es- sere di ca. 5 milioni. Negli ultimi decenni si sono formate molte comunità copte all'estero: fuori dell'A- frica e del Vicino Oriente se ne contano in Canada, Stati Uniti d'America, Australia, Francia, Germania, Inghilterra. La gerarchia comprende il Papa, 9 metropolitani, 41 diocesi e ca. 2000 arcipreti e preti. Le chiese parroc- chiali sono ca. 1000. I monasteri abitati sono 9 ma- schili e 6 femminili. La Chiesa d'Etiopia è teoricamen- te sotto la giurisdizione del Papa copto; fino al 1959 egli aveva il diritto di nominare il metropolita d'E- tiopia. I rapporti con i musulmani non si prestano ad essere definiti con precisione. Il sentimento della nazionali- tà egiziana è un forte elemento di unione, non esiste alcun tipo di segregazione religiosa, e le due comunità vivono fianco a fianco; tuttavia i copti sono per alcuni versi cittadini di second'ordine. Le condizioni per i matrimoni misti sono favorevoli ai musulmani. La costruzione delle chiese è sottoposta ad una autorizza- zione ufficiale, che viene ostacolata dalla burocrazia. La domenica non è giorno festivo neppure per i copti. I mezzi ufficiali di comunicazione raramente si interes- sano ai problemi dei copti. I rappresentanti copti alla Camera sono una percentuale minima; gli alti funzionari dello stato sono tutti musulmani. QUELLEN: (Abu al Barakat) Livre de la Lampe des ténèbres et de l'exposition (lumineuse) du service (de l'Eglise) par Abu l-Barakat, Texte arabe édité et traduit par Kom Louis Villecourt... PO 20 (1929) 575-734 (Abu Salih) The Churches and Monasteries of Egypt... Attributed to Abu Salih the Armenian, ed. and transl. by B. T. A. Evetts, Oxford 1895 (Anecdota Oxoniensia, Semitic Ser. 7) (Apollo, Leben) K. H. Kuhn, A Panegyric on Apollo, Archimandrite of the Monastery of Isaac, by Stephen, Louvain 1978 (CSCO 394 395) (Dioscorus of Alexandria ?) Dwight W. 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