METODI AUTOMATICI PER LA STAMPA DI TESTI UMANISTICI 1. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA. 1.1 Preliminari. Quello che presentiamo è il resoconto rimaneggiato e "ar- monizzato" (ad opera di Tito Orlandi) di un incontro di stu- dio effettuato nell'aprile 1987 a Bologna. Il problema af- frontato era quello di ottenere mediante sistemi automatici la stampa con impaginazione di testi contenenti non solo tutte le usuali forme tipografiche dei caratteri latini (caratteri grandi per i titoli, maiuscoletto, corsivo, neretto, etc.) ma anche caratteri diversi, quali greco e caratteri orientali, purché non ideografici o pittografici. (Per questi ultimi attualmente l'unica soluzione per la stampa sembra rappresentata dall'uso del *plotter, oppure di *stampanti grafiche con *software molto sofisticato, e co- munque i sistemi non sono soddisfacenti per varie ragioni). I risultati da ottenere devono essere comparabili, ai vari livelli possibili, con quelli che si hanno mediante i procedimenti tradizionali di stampa: da quelli cosiddetti off-set a quelli ottenuti con macchine linotype o monotype. Il fine di questo contributo è quello di mettere al cor- rente il lettore non specialista di informatica dei diversi procedimenti, dai più semplici ai più costosi, con i loro pregi ed i difetti. L'indagine è stata condotta nell'ambito di una ricerca riguardante soprattutto il problema di ot- tenere testi a stampa comprendenti caratteri orientali, in particolare quelli delle lingue, vive o morte, del Cris- tianesimo Orientale (greco, siriaco, copto, arabo, armeno, georgiano etc.). Tuttavia il suo sviluppo ci sembra inter- essare tutti coloro che hanno problemi di stampa con qualsi- asi tipo di caratteri speciali. L'intento della ricerca non era comunque quello di formu- lare programmi specifici nuovi per risolvere i problemi di visualizzazione e stampa dei testi, ma di utilizzare e armo- nizzare le diverse procedure che fossero già state attuate. Inoltre il problema particolare della stampa dei caratteri orientali o comunque non latini è visto all'interno del problema più generale della corretta codifica dei testi (in- put), della visualizzazione su schermo, dell'impaginazione, e dell'uscita su carta tramite stampante. 1.2 Ambiente di lavoro ed interazione di sistemi flessibili. Prima di iniziare la trattazione vera e propria del prob- lema è opportuno discutere brevemente l'ambiente nel quale e per il quale si presuppone che tale trattazione possa essere utile. Essa si rivolge allo studioso singolo, o anche a gruppi di studiosi riuniti in una organizzazione di ricerca, che comunque abbiano accesso singolarmente e personalmente al computer, sia nella forma di uno strumento personale, sia in quella dell'accesso personale ad uno strumento collettivo (terminale collegato ad un elaboratore di grandi dimen- sioni). La prospettiva ottimale, non ancora attuabile soprattutto in ambito di ricerca umanistica per motivi economici, è quella dell'eliminazione del supporto cartaceo in tutto il processo che va dalla raccolta di informazioni da parte del ricercatore (spoglio di bibliografia, lettura e copiatura di manoscritti, etc.) alla produzione di monografie e di edi- zioni di testi, alla diffusione di tale produzione. Per meglio dire, si tratta di usare il supporto cartaceo solo là dove è veramente necessario, o è comunque scelto liberamente dal ricercatore e non imposto da condizioni es- tranee alla precisa volontà del ricercatore. La prospettiva è soprattutto nel senso di eliminare la carta durante i procedimenti intermedi, ed eventualmente an- che nella diffusione del risultato delle ricerche, salvo a poter stampare singolarmente (da parte di ogni interessato, che può essere anche il ricercatore in questione) al momento voluto il prodotto definitivo, e quelli intermedi, ottenendo un risultato di stampa paragonabile al libro prodotto con procedure tradizionali di tipografia. Si tratterebbe quasi di libri o parti di libri "person- ali", cioè non moltiplicati in grande numero di copie (medi- ante tiratura tipografica), ma prodotti solo quando vi sia un'immediata necessità. La carta viene insomma a rappresentare un supporto di us- cita per usi speciali, e non un veicolo privilegiato (come ora accade per motivi economici e di tradizione o di abitu- dine) negli stadi intermedi della ricerca. Più concretamente, si può immaginare un umanista che la- vori soprattutto con testi (linguista, storico, filologo etc.). Egli legge manoscritti, legge bibliografia, combina testi, estrae materiali, ricostruisce avvenimenti; e poi produce tipi di testi abbastanza omogenei: cataloghi, mono- grafie, edizioni. Egli deve avere la possibilità di annotare direttamente nella memoria della macchina qualsiasi osservazione stia ef- fettuando, a partire dai testi che utilizza, ovvero qualsi- asi collegamento logico o concettuale che gli capiti di fare. In questo modo egli potrà rapidamente tornarci sopra, combinarli con tutte le osservazioni dello stesso tipo, sec- ondo i suoi bisogni, passarli da un *file all'altro, senza dover ricorrere a passaggi sulla carta. A seconda del lavoro che uno fa, sarà privilegiata una parte o un'altra di questo sistema. Quello che sarà veramente un'innovazione nel campo di la- voro umanistico, portata dalla macchina, sarà di permettere di utilizzare la macchina in maniera veramente interattiva prima di avere il risultato finito (testo critico o mono- grafia) da stampare. A questo punto veramente sarà eliminato tutto quello che rappresenta il materiale di costruzione tradizionale del lavoro umanistico. Finché invece si usa la macchina soltanto alla fine, per sottoporre a procedimenti informatici il lavoro finito, sarà sempre un modo improprio di utilizzarla. Lo studioso ad un certo punto, solo dopo che si è fatto lo schedario a mano, inserisce in macchina i dati disponibili e li fa stampare. Il vero cambiamento del nostro modo di lavorare sarebbe al livello in cui si riesce a sostituire tutto con la memoria magnetica. Tutto ciò non è utopistico. Nella situazione attuale, sembra che basterebbe fare un piccolo sforzo, perché il tipo di *software necessario esiste. Basterebbe in sostanza un buon *data base che permetta di utilizzare i *file creati con un *word processor come *editore, e poi l'*impaginatore etc. Dunque gli strumenti, almeno in parte, ci sono già. Tut- tavia questo, invece che semplificare, complica i problemi, perché tali strumenti sono di solito prodotti indipendente- mente uno dall'altro, e privilegiano uno o l'altro momento del procedimento. Rimane da studiare la connessione che serva a noi davvero, p.es. fra un data base ed un word pro- cessor, etc. In fondo questi sono gli strumenti essenziali, ma prima di mettere a punto una cosa del genere in modo che sia veramente utile allo studioso che ha a che fare con di- versi alfabeti, ci vorrà molto tempo. L'esigenza di sostituzione assoluta di memoria magnetica alla carta sembra non esagerata, ma per il momento troppo complessa, per la difficoltà di far interagire programmi per "prendere appunti", altri per ordinarli (data base), altri per diffondere le notizie, altri per impaginare, altri per avere sul video e sulla stampante caratteri diversi da quel- li latini (essi stessi nelle differenti varietà nazionali), e soprattutto avere file che siano utilizzabili con altri *packages. Dunque la soluzione non è ovvia o comunque non è di poco costo. La stazione di lavoro dovrebbe essere di basso cos- to. In relazione ad essa, si dovrebbe realizzare l'inter- azione di vari tipi di programmi, che sono invece studiati ciascuno per lavorare da solo (anche l'interazione di Word- Star con DBase, o programmi unificati di questo tipo non sono soddisfacenti). In più per l'umanista c'è il problema della molteplicità di alfabeti, con la necessità di passare con immediatezza dall'uno all'altro, cioè di avere posti di lavoro in cui si passa da un alfabeto ad un altro con grande disinvoltura. Gli alfabeti non latini vengono ottenuti oggi general- mente mediante programmi che si inseriscono fra un Word Pro- cessor o un Editor e le *interfacce, interne alle macchine, che gestiscono lo schermo e/o la stampante. In corrisponden- za di determinati *caratteri di controllo inseriti dal WP o Editor lo schermo o la *matrice della stampante sono istru- iti ad eseguire non un determinato carattere latino, ma quello greco o arabo etc. corrispondente, secondo una tabella prefissata. Si comprende come tali programmi siano strettamente legati ai WP da una parte, e alla configurazione interna delle macchine dall'altra. E' molto difficile, allo stato attuale delle cose, trasmettere agevolmente da una macchina all'altra dei file che possano essere sottoposti al medesimo tipo di gestione in ambedue le macchine, con programmi di- versi. In realtà non c'è sempre bisogno di tutti gli alfabeti contemporaneamente o comunque per lo stesso utente. In- oltre, si potrebbe anche pensare ad un alfabeto che ha tutti i segni di traslitterazione scientifici, senza ricorrere ai diversi tipi di scrittura. Per esempio un arabista potrebbe dire: io posso anche rinunciare all'arabo, purché abbia la possibilità di mettere un punto sotto la t, un segno a v so- pra la s, etc. Un alfabeto latino, con la possibilità di mettere sopra e sotto le singole lettere dei segni diacriti- ci, potrebbe sembrare già una soluzione. Questa è un'illusione. A questo punto infatti il problema diventa non è soltanto di video o di stampa, ma anche di tastiera, perché si tratta di vedere quali sono i comandi da tastiera per mettere i segni diacritici, (il che introduce segni di controllo invisibili nel file e lo rende inadatto a procedimenti dipendenti da programmi diversificati) e come poi i segni di controllo vengano letti e compresi e gestiti da altri programmi di impaginazione, etc. Questo tipo di soluzione è dunque da scartare. Diverso è naturalmente il discorso dell'impiego scientifico dell'alfa- beto fonetico. In questo caso l'alfabeto fonetico sarebbe parte di un *package, e il file ottenuto sarebbe sottoposto a procedimenti che ne prevedono l'utilizzazione in campo strettamente linguistico. 1.3 Situazione attuale. IL PROBLEMA DEGLI AMBIENTI DI LAVORO E' MOLTO SENSATO MA E' MOLTO COMPLESSO. Non è possibile che l'aiuto arrivi da parte di chi non conosce a fondo le necessità dell'ambiente di lavoro umanistico. Chi risolve il problema è chi davvero ci sta dentro. Ogni ambiente di lavoro richiede la progettazione ex novo degli strumenti. E' impossibile che si riesca a creare un ambiente di lavoro per gli umanisti utilizzando esclusiva- mente gli strumenti a disposizione, creati per altri tipi di lavoro (soprattutto di ufficio). E' più facile per un uman- ista imparare a programmare almeno quel tanto che basta per alcune necessità sue particolari, che non ad una persona che sappia programmare entrare in una tematica specifica, qualunque essa sia (e tanto più di ricerca umanistica). E ad ogni modo, più che di facilità intrinseca di costru- ire questo o quel programma, il problema è di efficacia e di dedicare il tempo necessario alla soluzione. Se si ricorre ad informatici di professione il procedimento diventa es- tremamente costoso. Il problema della programmazione è quello dei LINGUAGGI. C'è un linguaggio più semplice, che p.es. è quello degli or- dini da dare ad un *package già fatto. Il linguaggio di pro- grammazione "normale" è per lo più complicato, in quanto deve offrire maggiori possibilità e soprattutto flessibilità. Ma talora è più semplice fare certe operazioni mediante il linguaggio diretto di programmazione che non me- diante i comandi ad un *package. Altra cosa è ancora potere, in certi casi molto specifi- ci, intervenire direttamente sulla costruzione di un *pack- age, intervenendo sul programma di cui è costitutito. Questo è ciò che offrono le utilities nel sistema operativo *UNIX (e solo parzialmente nel *MS-DOS o similari) e ci sono casi in cui può essere conveniente servirsi di questa possi- bilità. Tuttavia è piuttosto conveniente agire su quei *packages a livello di input o di output (mediante dei fil- tri), senza stuzzicare la bestia dall'interno. 2. LA GESTIONE DEI TESTI PER LA MEMORIZZAZIONE E LA STAMPA. 2.1 Preliminari. Veniamo dunque al problema pratico per il quale vogliamo qui dare alcune indicazioni, in relazione agli studi ed alle esperienze fatte in seno al progetto di ricerca sull'Oriente Cristiano, finanziato dal Ministero della Pubblica Istruzione per il settore delle ricerche di interesse nazionale. Si è preso in considerazione uno studioso di discipline umanistiche in generale, ivi comprese quelle che hanno ne- cessità di uscite a stampa particolari, in relazione ad analisi di testi scritti in alfabeti particolari. Si tenga presente che anche per le normali necessità di stampa per studiosi di lingue moderne i problemi sono simili, anche se meno complicati. Faremo riferimento a macchine informatiche a vari livel- li, che possono essere disponibili. Naturalmente quelle più potenti danno maggiori possibilità di avere risultati sofisticati, ma anche quelle piccole possono dare buoni prodotti. Perciò lo studioso cui si accennava prima può avere a disposizione un Personal Computer, oppure anche una macchina più potente: un *mini-computer, su cui lavorano contempo- raneamente più utenti, o un main-frame, anch'esso multi- utente, e di grande potenza, di solito situato presso un Centro di Calcolo della sua Facoltà o Università). Egli può disporre di una stampante a punti grafica (margherita o a punti non grafica non possono risolvere se non problemi min- imali...), oppure di una stampante laser (cf. sotto, de- scrizione dei vari tipi). Egli può disporre di diversi tipi di software, o quelli per i PC meno potenti, ovvero quelli per PC nati a suo tempo per i main frames e dunque assai potenti, oppure quelli che girano sui main frames. Egli può accedere ad un service di fotocomposizione, o mediante dischetti (dunque direttamente dal PC) o mediante nastri (dunque dal main frame). Cercheremo di indicare come usare al meglio queste mac- chine, quali problemi sorgono ai vari livelli, quali possono essere i modi di superarli in tutto o in parte. Tre momenti si possono distinguere individualmente, pur essendo molto legati fra loro: SCRITTURA, IMPAGINAZIONE, OUTPUT (STAMPA; VIDEO). Si dovrà: 1. Vederli nei loro prob- lemi specifici; 2. Studiare come le soluzioni di questi problemi vadano trovate tenendo conto dell'interazione (tem- poralmente ma anche concettualmente successiva) fra di essi. 2.2 Scrittura. Generalmente si è attratti a prima vista da programmi che promettono cose meravigliose compiute immediatamente e auto- maticamente (impaginazione; note a pie' di pagina; caratteri speciali...) e viste immediatamente sul video. Ci si ac- corge poi che, giunti ad un livello superiore (esigenze di stampa o di riutilizzazione dei file per data base o per concordanze, indici, scambio di file con altri ricercatori, etc.) essi non funzionano. I word processor sul mercato (WS, PWP, Framework, Script, Applewriter...) vedono come elemento di base la PAGINA. Gli editor vedono la riga (per pura utilità di visione sullo schermo) e comunque un tipo di scrittura "kilometrico". Per scrivere testi ci sono due filosofie: quella che si serve di un PLL = Page Layout Language (comandi per lo più in chiaro, inseriti nel testo come se fossero parte del testo stesso), e il tipo WYSIWYG (What You See is What You Get), in cui gli ordini per impaginare, cambiare i carat- teri, numerare capitoli e sotto-capitoli, etc. sono definiti in sede diversa dalla scrittura, in una parte speciale del programma, ed agiscono immediatamente sul testo. ***INSERIRE QUI TAVOLE ESPLICATIVE Il WYSIWYG privilegia l'interattività, il PLL privilegia una struttura di linguaggio. (Un esempio sofisticato di WYSIWYG è il programma Applewriter o quello per il MacIn- tosh). Vantaggi e svantaggi. Usando un WYSIWYG si ha la sen- sazione di usare un sistema interattivo in cui si vede subito quello che fa la macchina, con maggiore capacità di decidere quello che si vuole nella propria pagina. In una prima fase il WYSIWYG dà grosse sensazione di facilità d'uso (si vede subito il corsivo, il boldface, etc.). Inoltre si è sicuri che ciò che si vede à ciò che si ottiene, e quando si passa alla stampa non c'è più nulla da correggere. Tuttavia col WYSIWYG non ci si rende conto che da un lato si compiono le operazioni di scrittura familiari (quando si battono i caratteri, ci sono effettivamente i caratteri che uno ha scritto), ma dall'altro, in mezzo a questo file, c'è tutta una serie di altri comandi, che uno ha messo, ma che non vede (ne vede solo gli effetti). Il vero file generato dal WYSIWYG risulterebbe del tutto illeggibile da chi lo ha scritto, ed inoltre è illeggibile da qualunque altro pro- gramma che non sia quello esattamente che lo ha generato. I comandi "trasparenti" che stanno nel file sono "scrit- ti" in un linguaggio che va al di là addirittura della con- venzione ASCII, che rimane una specie di linguaggio macchi- na, dunque legato alla macchina che lo ha generato. Questo è un primo grosso problema, ed è gravissimo, perché (1) rimane difficile scambiare file con altri ricerca- tori; (2) non è possibile leggere i files con altri program- mi; (3) rimane difficile cambiare la stampante. L'altro problema è che questo metodo, che sembra così bello, in realtà è il metodo peggiore dal punto di vista della qualità. Infatti è lo scrittore il responsabile dell'impaginazione. Sembra piacevole poter collocare imme- diatamente le varie parti del testo dove si vuole, ma il risultato è di solito brutto, o per lo meno lo è nella misura in cui lo scrittore non è un tipografo profession- ista, e non conosce le elementari o meno elementari regole che governano la tipografia. Insomma, un profano di tipografia è chiamato a fare delle scelte che sono proprie di un tipografo, ed il risultato sarà cattivo. La possibilità di forzare le regole ti- pografiche sembra comoda, ma conduce a cattivi risultati. Inoltre, se ci si pente di scelte fatte, il cambiamento è per lo più rimandato all'autore, e non può essere fatto in maniera automatica. Occorre tornare su tutti gli errori (ti- pografici) per correggerli (p.es. se si vuole fare in due colonne un testo fatto ad una). Il word-processor del tipo WYSIWYG è facile d'uso nell'immediato, ma è di bassa qualità, difficilmente correg- gibile e scarsamente portabile (cioè utilizzabile in diversi ambienti operativi). E' dunque adatto solo ad un uso molto moderato dove non conti la qualità (ufficio, etc.). Il PLL dà gli opposti vantaggi, soprattutto riguardo alla portabilità. Il file che si produce è "ONESTO", cioè in memoria contiene esattamente e soltanto i caratteri del cod- ic ASCII (o eventualmente quelli del codice standard che lo sostituirà) che servono a far apparire sul video o inviare alla stampante il testo di cui è composto il file. Si potrebbe affermare che tutte le volte che il computer non è usato come semplice macchina da scrivere, occorre che i testi siano memorizzati in file "onesti". Si deve infatti ricordare che non c'è solo il problema della impaginazione di un testo, ma anche quello dell'eventuale successiva elab- orazione automatica (concordanze etc.). Un file onesto inoltre può essere trasformato facilmente e automaticamente. I cambiamenti possono essere clamorosi, perché vengono fatti dalla macchina. Inconveniente: non si vede fino al momento della stampa la pagina come apparirà stampata, salvo non avere un parti- colare video grafico, e comunque anche in questo caso si vede in un secondo tempo o parzialmente. L'ambiente otti- male è quello in cui è presente un video grafico con due finestre. In una finestra si vede ciò che si scrive, nell'altra si vede il risultato finale. In questo modo si possono correggere immediatamente gli errori. Questa non è interattività, ma si chiama PREVIEW. Tuttavia per il momen- to il procedimento presenta costi superiori alle normali possibilità della ricerca umanistica. Nelle condizioni normali si deve tornare al documento dopo una prova di stampa, e correggere gli errori (natural- mente quelli di comando tipografico). In generale inoltre la correzione da *listing è più complicata, perché insieme col testo si vedono le istruzioni per l'impaginazione, il cambio dei caratteri etc. Si può pensare, in questo caso, ad un listing depurato da quasi tutti i comandi inseriti nel testo, per la pura correzione del testo "concettuale". (Per questo problema cf. anche sotto). Per quanto riguarda il PROBLEMA DEI CARATTERI E SET DI CARATTERI SPECIALI, esso consiste nel fatto che oggi i costruttori non li prevedono. Occorre dunque ricorrere a programmi, che oggi sono in commercio, ma si basano su una stretta interrelazione fra tipi precisi di TASTIERA, VIDEO, STAMPANTE. Per questo il problema viene risolto sul piano in certo senso "personale", o comunque di piccoli gruppi di utenti del medesimo software con le medesime macchine, e si incorre nei consueti inconvenienti per lo scambio dei file o la loro gestione con altri programmi. Comunque il problema è facilmente risolubile in prospet- tiva. La tendenza oggi nei sistemi più evoluti è quella di accettare un character set a 16 bit (ca. 16000 possibilitè) nel quale siano comprese in modo standard tutte le partico- lari lettere di questa o quella scrittura storicamente at- testata. Questo è il problema della internazionalizzazione dell'uso dei calcolatori, ma può servire (dato l'enorme rag- gio di possibilità) per una standardizzazione degli alfabeti speciali. Bisogna però fare attenzione che le macchine che faranno eventuali altre operazioni automatiche sul testo abbiano lo stesso codice per i segni "oltre" l'ASCII (che è tipicamente americano). Si dovrebbe sempre badare che i manuali almeno dichiarino esplicitamente il codice che usano per tutti i segni di cui è capace un certo sistema (video e comando del- la stampa). Questo vale sia per i calcolatori sia per le stampanti. Il vero problema è quello della CODIFICA, cioè di avere un segno (o gruppo di segni) ben definito e usato solo in un caso per ogni fenomeno grafico che si vuole memorizzare. Il segreto è sempre quello del file "onesto" (cf. sopra). Spesso p.es. le cosiddette lettere accentate sono scritte per mezzo di "caratteri di controllo", per cui lette da un'altra macchina o da un altro programma costituiscono un elemento "disonesto" . In questo caso però è abbastanza facile sistemare le cose con dei filtri (in entrata o in us- cita, a seconda delle necessità). Si può peraltro con- sigliare l'uso dell'accento grave (prima e dopo), parentesi graffe per la cediglia etc., e in tutti i modi è consiglia- bile non usare altra tastiera che quella americana. Quando non esiste ancora uno standard universalmente ri- conosciuto, è raccomandabile che gruppi di lavoro interes- sati ad un particolare set di caratteri si accordini su *filtri univoci di input e di output. Superato dunque il problema della codifica, vengono in luce i veri problemi tecnici, sui quali ci sofferemeremo ora. 2.3 Impaginazione. Il problema della impaginazione si pone soltanto usando il PLL (del resto, come si è visto, raccomandabile in quasi tutti i casi). Tuttavia, anche partendo da un PLL, è possi- bile avere un cosiddetto *preview, cioè un procedimento che dà un effetto simile a quello dei *packages del tipo WYSI- WYG, senza modificare i principi del PLL. Si tratta di sot- toporre il file scritto con PLL ad un procedimento diciamo così "immediato" di impaginazione, che può uscire sia (p.es. a livello di Personal Computer) su una stampante locale, a matrice di punti o laser, sia eventualmente sullo stesso video. In questo caso, un elemento da tener presente è quello di avere o non avere un video che sia capace di riprodurre quello che farà la stampante (cioè un video grafico, che possa fare il *preview). Il *preview è qualcosa che pre- disponga la posizione relativa dei caratteri sul video come si disporranno sulla pagina. Occorre rendersi conto che video e stampante sono per il calcolatore semplicemente due modi diversi di stampare. Il *preview è un metodo di stampa. Se si usa il WYSIWYG esso è anche un metodo di scrittura; altrimenti sarà solo un metodo di stampa. Un programma standard di impaginazione normalmente prevede un certo numero di stampanti e di tipi di video sui quali potrà operare, e non su altri. Esso d'altra parte li dichiarerà (nel manuale o altro), e bisognerà semplicemente prestare molta attenzione. L'utente normale si deve rasseg- nare al fatto che un certo *package "vede" un certo numero di stampanti e di video (o di organizzazioni di video) in maniera naturale. D'altra parte ognuno di essi, messo in mano ad un professionista, potrà essere piegato a vedere qualsiasi stampante o video (che abbia le necessarie carat- teristiche tecniche). Si dovrà dunque tener conto del fatto di poter avere o meno la necessaria consulenza. Sotto un altro punto di vista una stampante si riconosce (come tipologia) dai comandi che esegue. Se due stampanti eseguono gli stessi comandi allo stesso modo, sono in prati- ca la stessa stampante. In verità gli impaginatori non producono comandi per una stampante, ma producono un file di comandi per una stampante ideale, che non esiste. Sarà poi un secondo programma, con- nesso all'impaginatore, che si incaricherà di mettere in re- lazione il file uscito con la stampante a disposizione. Questi programmi si chiamano *driver. Il file prodotto dall'impaginatore è un cosiddetto DVI, *device indipendent, cioè in sostanza è scritto in suo pro- prio linguaggio, che viene interpretato dai *driver adatti alla stampante a disposizione. Nessun programma serio di scrittura dà comandi direttamente alla stampante. Quanto al funzionamento della stampante nei riguardi dell'impaginatore (attraverso il *driver), si possono vedere le cose in questo modo. Le stampanti hanno già in sè un cer- to numero di *set di caratteri. Quando si deve ricorrere a caratteri diversi per forma o per dimensioni, l'impaginatore comanda le possibilità c.d. grafiche della stampante. Finché l'impaginatore non deve porre nella pagina carat- teri ignoti alla stampante, esso si limita ad indicare la posizione dei caratteri, ed "usa" quelli già disponibili all'interno della stampante. Quando invece l'impaginatore deve inserire caratteri di dimensioni diverse (p.es. per il titolo; oppure più piccoli per le note; oppure anche disegni etc.) esso crea quello che vuole, usando le caratteristiche grafiche della stampante (o del video). Un problema a questo punto è la correzione delle bozze. Se si ha la possibilità di un equipaggiamento di tipo *pre- view e stampante laser, non c'è problema. Altrimenti l'utente produrrà un file che contiene, come PLL, dei coman- di che egli avrà concordato col tipografo. In questo caso il risultato finale egli lo può vedere so- lo quando il tipografo glielo avrà prodotto (in generale la cosiddetta *strisciata), e dunque questo prodotto avrà un costo non indifferente. Ogni bozza avrà cioè un costo che si avvicina a quello del prodotto finito (escluso il procedi- mento materiale di moltiplicazione delle copie). Per questo è opportuno organizzarsi, anche a questo liv- ello "minimale", in modo da poter vedere le bozze indipen- dentemente dall'impaginazione. E' consigliabile produrre un file di solo testo, cancellando i comandi di impaginazione, in modo da poter correggere il testo. Per correggere l'impaginazione, si dovrà comunque ricor- rere alle vere bozze presentate dal tipografo. Si può anche tener presente che piccoli programmi di impaginazione che possono servire come via di mezzo fra testo bruto e fotocom- posizione, per correggere le bozze, si trovano scritti su molte pubblicazioni specializzate, si possono dunque ac- quisire in qualche modo. La correzione delle bozze avviene in due tempi su due pi- ani diversi. Per quanto riguarda il testo in se stesso, esso viene corretto in loco, arrangiandosi per vederlo nel modo più conveniente con i mezzi che si hanno a disposizone. Una volta invece che il file che comprende anche i comandi di impaginazione viene consegnato al tipografo, la correzione della bozza che questi presenterà non sarà fatta producendo un altro file da consegnargli, ma indicandogli direttamente le correzioni da portare nella memoria del calcolatore che il tipografo usa. In questo secondo momento, cioè, riprende in certo senso il rapporto tradizonale fra il tipografo e l'utente, salvo il fatto che il tipografo dovrà intervenire assai poco sul testo che gli è stato consegnato. E' anche conveniente far fare direttamente dal tipografo il disegno di tabelle, grafici, etc. Se si usa un file depurato dei comandi di impaginazione per correggere le bozze, occorre fare attenzione in quale file si introducono le correzioni. Esse dovrebbero essere sempre introdotte nel file originale, perché se è facile produrre un file depurato partendo da uno con i comandi di impaginazione, è sostanzialmente impossibile produrre di nuovo automaticamente un file con i comandi di impaginazione (ma corretto nel testo). Si potrebbe casomai ridurre i co- mandi di impaginazione (che è bene siano in chiaro, per evitare gravi errori) a segni piccoli (un $ o un % etc.), che poi possono essere di nuovo decodificati. E' vero che oggi spesso gli stessi impaginatori pensati per apparecchi di fotocomposizione girano anche su Personal Computer, ma spesso non è facile implementarli in maniera soddisfacente per le esigenze minori (come appunto la cor- rezione di bozze); mentre se sono bene implementati per le esigenze maggiori, è inutile allora ricorrere ad un ti- pografo per la fotocomposizione. 2.4 Stampa. Molti problemi relativi alla stampa sono già stati af- frontati. Qui vogliamo prima di tutto specificare i vari tipi di stampante oggi disponibili; quindi approfondire i modi di stampa dei caratteri non latini. E' bene tener presente i tipi di stampante oggi esistenti sul mercato, prima di organizzare un lavoro di pubblicazioni di testi aiutata dal computer, perché ognuno di essi ha caratteristiche sue proprie, che lo rendono adatto ad alcune necessità piuttosto che ad altre. Anche le stampanti sofisticate spesso non assommano in sè tutte le caratteris- tiche proprie di altri tipi di stampante. DAISY WHEEL (= a margherita, o a pallina). Essa è la diretta discendente delle macchine da scrivere di tipo analogo, sal- vo che il movimento della margherita è comandato dal comput- er piuttosto che da una tastiera. Esse hanno una qualità di scrittura assolutamente superiore a quella delle stampanti ad aghi, e sotto questo punto di vista sono eguagliate solo dalle laser, e superate dai phototypesetter. Esse sono rela- tivamente lente, ed è complicato cambiare i set di caratteri (occorre ogni volta fermare la stampa ed intervenire), che sono comunque in numero piuttosto limitato. In teoria si potrebbe produrre margherite con qualunque set di caratteri, ma il costoso procedimento di produrre un prototipo sembra al di fuori della portata delle ricerche di ambito umanisti- co. DOT MATRIX (a matrice di punti, o ad aghi). Le lettere sono prodotte facendo battere sulla carta, attraverso il nastro inchiostrato, un certo numero di punte di ago disposte via nel modo opportuno per disegnare i vari caratteri. Questo tipo di stampante è quello più corrente a livello di sistemi pesonali o di piccola potenza. E' veloce e molto flessibile nella costruzione di set di caratteri; ma la qualità della stampa, anche dopo gli ultimi perfezionamenti (cosiddetta "letter quality") è insoddisfacente per lavori di un certo impegno. LASER. Viene sfruttata la possibilità di guidare un raggio laser ad impressionare una matrice inchiostrabile, in modo simile ad una fotocopiatrice. E' il tipo che oggi si sta im- ponendo per la maggior parte delle applicazioni di impegno medio-piccolo. Ha la caratteristiche migliori dei tipi dot- matrix e daisy-wheel, ed è molto veloce. Ma presenta ancora problemi di meccanismi di trascinamento della carta e di manutenzione (simili appunto a quelli di una macchina per fotocopie). PHOTOTYPESETTER (fotocomposizione). Sono le macchine migliori in assoluto, basate sul funzionamento del CRC (tubo a raggi catodici, come la televisione). Il loro costo tut- tavia ne permette l'acquisizione solo a strutture grandi, come p.es. le tipografie. (Accenniamo soltanto a tipi di minor interesse per l'argo- mento di questo saggio, come le stampanti a GETTO D'IN- CHIOSTRO e a CATENA). Per quanto riguarda i vari modi di ottenere i caratteri o alfabeti speciali (non latini), e la loro convenienza rela- tiva, può essere opportuno chiarirsi le idee di come fun- zione il cambiamento di *font (set di caratteri) nelle stam- panti laser comuni (le altre si comportano in modo simile). Le stampanti laser hanno delle cartucce con un certo nu- mero di set di caratteri. P.es., quando si fa l'"auto-test", esse presentano tutti i caratteri di cui sono capaci con quella determinata cartuccia. Ciascuno dei segni corrisponde a un codice ASCII, e viene attivato quando riceve tale codice dal computer. Essi hanno una certa forma ed una cer- ta grandezza (cioè esiste un medesimo font in due o piì grandezze, per fare titoli etc.), ma tale grandezza standard non viene cambiata dal software del computer. Per fare ciò il computer si serve delle capacità grafiche della stam- pante, di volta in volta (cf. sopra). Per il resto, se p.es. si ha a disposizione una C alta due centimetri, non si può farla diventare di tre. Questo è il discorso di base: arrivano le cartuccie con i set di caratteri. Se si ha il set che serve, bene; se no ci si deve arrangiare. I problemi cominciano quando si vuole ottenere caratteri diversi, per forma o per grandezza. Primo caso: ottenere caratteri di altro tipo. Secondo ca- so: si vuole maneggiare la grandezza. Vi sono macchine e/o programmi capaci di ottenere queste cose. Alcuni mostrano il risultato anche su video (cf. quanto detto sopra). Essi aprono una specie di editor, che presenta una maschera a tutto schermo, e si riempie tale maschera con la forma del carattere che serve (questo può valere anche per disegni etc.). Poi la forma viene memorizzata (rimpicciolita a pi- acere), viene messa in relazione con un certo codice, e con un certo tasto della tastiera, e può essere mandata alla stampante, quando serve. La stampante è manovrata dal software che sta nell'unità centrale, in maniera grafica. Occorre solo badare che la stampante (e il video) siano fra quelli previsti dal pro- gramma, o che siano comunque compatibili. Si badi tuttavia che questi programmi non interagiscono con gli impaginatori indipendenti da loro. Alcuni di essi hanno un loro impagi- natore, che allora si dovrà usare al posto degli altri. Ma tali impaginatori non saranno mai all'altezza di quelli di cui si è parlato sopra. Tra i prodotti standard non c'è una soluzione che va bene con qualunque programma, con qualunque sistema, con qualunque stampante. Per tornare al problema dei caratteri, facciamo un esempio pratico. Troff (il programma impagina- tore disponibile nel sistema operativo UNIX) produce prima di tutto un *DVI; questo passa attraverso un *driver adatto alla stampante scelta. Si può pensare di aggiungere a questo punto un altro filtro, che, in presenza di certe cod- ifiche ASCII mandate dal filtro di Troff, istruisce la stam- pante a formare caratteri non latini, ma di altro tipo pre- visto in questo secondo filtro. Ripetiamo che NORMALMENTE LA SCELTA DI UN IMPAGINATORE IMPONE UNA SERIE DI FACILITIES (TIPO DI STAMPANTE ETC.) CHE SI HANNO D'UFFICIO. NON SI PUO' MESCOLARE IMPAGINATORI, FILTRI ETC. Ci si deve informare, quando si acquisisce un impaginatore, di quali macchine esso preveda vengano usate. Un impaginatore pensa solo agli ingombri fisici. Se si cambiano i caratteri per mezzo di un filtro, ovvero si hanno direttamente sulla stampante (p.es. attraverso il POSTSCRIPT, un sistema software inserito nella stessa stam- pante laser, che oggi va acquisendo i caratteri di uno stan- dard) bisogna inserire nell'impaginatore le dimensioni dell'ingombro fisico di tali caratteri. L'impaginatore si fa una pagina con gli ingombri dei caratteri: che siano cop- to, turco o cirillico per lui è lo stesso. In quale momento la stampante viene a sapere che deve cambiare font? Ci saranno dei controlli nel file origine che dicono: fonte 1, fonte 2, fonte 3 etc. In corrispondenza di tali controlli, l'impaginatore fa cambiare il font nella cartuccia della stampante. Si badi però che non si potrà mettere le mani su questi controlli, in fase di uscita dell'impaginatore. A questo punto l'impaginatore però si comporta come se gli in- gombri di questi caratteri che la stampante sostituisce a quelli "normali" siano uguali a quelli "normali". Occorre dunque badare che tali ingombri coincidano. E' possibile inserire in Troff l'indicazione di tali in- gombri, ma la cosa appare complicata rispetto alle normali possibilità di un ricercatore di campo umanistico. Il sistema più conveniente sembra quello di utilizzare la possibilità che hanno gli impaginatori di riprodurre, quando lo si voglia, sistemi di scrittura non proporzionali. In questo caso si può essere sicuri che l'ingombro dei carat- teri è sempre lo stesso.